Cronachesorprese

27 Luglio 2012

Amicus Plato?

Filed under: Il postulante de-genere — alessandro @

Questa è veramente grossa. Apprendo da Antonio Socci che Umberto Galimberti dalle autorevoli (…) pagine di D di Repubblica arruola Platone tra gli antichi che lottavano contro i pregiudizi sull’omosessualità.
I siti che riportano le obiezioni di Socci parlano giustamente di “gaffe” di Galimberti. Come non essere d’accordo? Basta una preparazione media da maturità liceale per rendersi conto dello svarione. Basta aver letto bene il Simposio, non occorre una laurea o un credito da filosofo alla moda.
Galimberti cita inoltre la tesi controversa di John Boswell sulla presunta omosessualità di Sant’Anselmo d’Aosta come se fosse un dato acquisito e riconosciuto da tutti.

Queste forzature sono parte dello spirito del tempo. Saranno lette e riconosciute come tali tra qualche decennio, sempre che qualcuno abbia voglia un giorno di studiare il nostro momento storico da questo punto di vista. Ora “deve” passare in qualche modo nell’opinione pubblica la tesi che l’essere contrari al riconoscimento giuridico del matrimonio omosessuale dipenda solo dall’ignoranza. Gli attivisti non vogliono il confronto su questo tema: vogliono soltanto illustrare in che modo l’opinione di chi non la pensa come loro è riconducibile a una qualche forma di ignoranza o di paura. Non accettano che qualcuno possa avere buone ragioni contrarie, non vogliono considerare che se le possa essere formate liberamente. Non deve più essere permesso a nessuno pensare che essere contrari al matrimonio omosessuale possa dipendere da una onesta ricerca del bene comune. Perfettibile come tutte le ricerche, ma adulta e consapevole.

La mistica progressista non ammette deroghe: quando “giunge il momento” tutto ciò che prima di quel momento è andato in direzione contraria al nuovo ordine da instaurare è solo un disvalore, e deve essere descritto, studiato, narrato come tale. E per farlo fuori tutto è permesso, a cominciare dal tradimento dei fatti e delle idee.

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5 Luglio 2012

Fatti più in là, imprenditor

Filed under: market mysteria — alessandro @

Oggi ci hanno spiegato che il porto di Genova deve espandersi verso il mare. Sono ormai anni, inoltre, che ci propongono strategie diverse, più o meno convincenti, sempre ardite, per far rimanere lo scalo competitivo. I traffici, i traffici. Le merci, le merci.
Se mi impegnassi potrei anche trovarlo appassionante: il porto di Genova pensa oggi alle strategie per non morire. Strategie che, per uno dei misteri della merce, corrispondono sempre a disegni di espansione e mai di contenimento o di salvaguardia. Non voglio essere critico o distruttivo: sono moderatamente convinto che sia bene andare in questa direzione.

Dopo aver fatto pagare un prezzo incalcolabile alla costa, ora il porto si sposta verso il mare. “Salpa”, per così dire, come le navi che vede salpare da qualche secolo. Mi immagino, da irriducibile ingenuo, che questo corrisponda anche a un mollare un po’ la presa dalla costa. Sì, dai, perché non facciamo uno scambio equo? Per ogni dieci metri di mare che vi prendete, restituitene uno delle banchine più antiche. Fate un po’ di spazio, quel tanto che basta a far rivivere un poco il mare a chi sta ad ovest della lanterna. Vuol mica dire che dovete sloggiare i portacontainer sempre più giganteschi: soltanto li fate approdare un poco più in là. Fate vedere anche a noi, seduti comodamente su una panchina in riva al mare, le operazioni di carico e scarico, come possiamo già fare in altri tratti del waterfront. Non si tratta di smantellare il porto, si tratta di scollarlo un attimo dalla città. E che sarà mai. Tanto, anche se l’avete tenuto attaccato alla città come una cozza, il porto l’avete anche fatto crescere in modo che della città da cui nasce si dimenticasse.

Lo so che non è possibile, e ammesso che sia possibile non ci pensa nessuno. Però è una fantasia che oggi mi piace e che trovo appagante, e se mi capita questo vuol dire che un senso ce l’ha, forse un senso che capirò tra vent’anni. Dico una cosa forte e chiara: io non credo, non credo più che certi processi siano irreversibili. Vedo da una vita che nel nome di certi obiettivi (di cui riconosco l’importanza) si fanno i salti mortali, e non credo più che non si possano fare i salti mortali anche in altre direzioni. Soprattutto se si tratta di obiettivi diversi ma non opposti, che possono essere perseguiti contemporaneamente.

Un po’ negli ultimi anni ho viaggiato, e ne ho visti di porti. Grandi, medi e piccoli. Lasciamo perdere posticini come Cardiff, o la sorpresa della vista di Lisbona dall’alto dell’Alfama, o di Barcellona dal Tibidabo. Sono città portuali, cresciute e diventate forti grazie al porto. Ma andiamo oltre, andiamo a quelli che il porto di Genova vede oggi come suoi termini di paragone. Ho osservato bene, anche se un po’ da lontano, lo scalo di Oakland: mi è sembrato un gigante buono, e mi è sembrato che non si nasconda alla città come fa il porto di Genova, ma stia al suo cospetto senza rancori né timori. Certo mi mancano i grandi porti del nord Europa, i distripark di Rotterdam e di Amburgo. Ma non mi stupirei se trovassi conferma anche in quegli enormi spazi di una sensazione che ho tutte le sere, guardando dalla mia finestra le gru che spuntano da oltre il tetto dei vecchi magazzini del sale di Sampierdarena: qui, per qualche motivo, la città ha obliterato il porto, e il porto ha obliterato la città. Da altre parti, anche su grandezze nettamente diverse, non è successo.


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