Cronachesorprese

21 Ottobre 2009

I fissisti del lavoro

Filed under: cronache — alessandro @

fissismoDa che punto di vista è utile guardare la discussione sull’elogio del posto fisso cantato da Tremonti due giorni fa?

Il punto di vista del ministro e del suo capo non mi interessa più di tanto. Una volta che ho rilevato che Tremonti è stato coerente con affermazioni fatte in passato (anche nel suo libro) non si dissolve l’impressione che in periodo di crisi, licenziamenti e cassa integrazione un’uscita così se la poteva anche risparmiare. E se Berlusconi ritiene in questo momento più conveniente venire in soccorso del suo ministro che essere coerente con quanto ha dichiarato in passato sul valore della mobilità, va bene, che divertimento, l’abbiamo pinzato anche stavolta. Ma è finita lì.

Il punto di vista di Confindustria è incomprensibile: gli industriali hanno fatto carta straccia dello spirito della legge Biagi infischiandosene, senza che nessuno li richiamasse all’ordine, delle regole che la legge prevede anche per loro, non solo per i lavoratori. Non hanno mai incentivato la vera mobilità, ma l’hanno sbandierata solo per avere le mani un po’ più libere. Ad esempio prendendo per anni gli stessi lavoratori somministrati senza mai assumerli, ricorrendo all’escamotage di far trascorrere il periodo minimo tra un contratto e l’altro (e risparmiando tra l’altro almeno una mensilità a ogni rinnovo). Su questo e su altri punti l’ottima legge Biagi viene aggirata e andrebbe corretta lasciandone inalterati i principi ispiratori e l’impianto, ma nessuno si è preso finora la responsabilità di farlo.

Anche perché per i sindacati (e parlo della posizione generale delle diverse sigle, non delle situazioni che si sono create da azienda ad azienda) non c’è mai stata una vera differenza tra precarietà e mobilità. E mi dispiace per i tanti lavoratori che sono stati vittime di questo muro contro muro. I sindacati in dodici anni dal pacchetto Treu non hanno mai voluto fare delle serie distinzioni, continuando a propagandare l’irrinunciabilità dell’unico modello di lavoro dipendente che hanno in testa e tagliando alla radice la possibilità di rappresentare gli interessi di tanti giovani che solo attraverso le forme flessibili di contratto hanno avuto modo di avvicinarsi al lavoro.

Se andiamo a vedere, dunque, le incoerenze sono ben diffuse tra tutte le parti sociali. Dica quello che vuole oggi Tremonti, si scopra “fissista” o protesti la sua perenne fedeltà al fissismo del posto di lavoro, la questione vera non cambia: è ridicolo oggi in Italia contrapporre un valore posto fisso a un valore mobilità.

Il posto fisso è, certo, una sicurezza di cui il tessuto sociale oggi non potrebbe fare a meno, ma è anche un modello socioculturale deleterio che ha prodotto arrivismo, sopraffazione, clientelismi, perdita di competitività del sistema produttivo. E ha messo non in secondo ma in ultimo piano l’aspirazione del lavoratore a migliorare il suo profilo professionale con il passare del tempo, togliendo a tutti motivazioni ed energia per chiedere alle aziende di fare i giusti investimenti in formazione.

La mobilità invece non ha la possibilità di essere un valore: in Italia non esiste. Non esiste perché le aziende fanno finta di esaltarla ma non creano le condizioni necessarie (investimenti in formazione, adeguamento dei contratti e dei processi produttivi alle figure professionali che il mercato del lavoro crea) perché i lavoratori la sfruttino, i sindacati non ne vogliono sentir parlare, i lavoratori senza punti di riferimento non la cercano e non la chiedono.

Mobilismo e fissismo non sono dei valori in sé. Il vero valore sarebbe poter scegliere. Ma in Italia non c’è una vera possibilità di scelta.

7 Comments »

  1. quanto hai ragione! la tua analisi è molto equilibrata

    Comment di imbarcoimmediato — 22 Ottobre 2009 @

  2. molto non lo so… ci ho provato :-)

    Comment di alessandro — 22 Ottobre 2009 @

  3. Posso solo fare l’esempio inglese. In una societa’ che non conosce il posto fisso ormai da 25 anni (tutte le nuove generazioni insomma), c’e’ la differenza tra i permanent (sei il mio dipendente, prendi i bonus, gli aumenti e tutto il resto ma ti licenzio quando voglio dandoti 3 mesi di stipendio) e il temporary (vieni qui, lavori 3-6 mesi e ti pago circa un terzo piu’ del permanent).
    Questo produce un mercato flessibile dove mai manca il lavoro per chi vuole lavorare e, inoltre, genera un lavoratore che non puo’ permettersi di non migliorare.
    Ora, questa non e’ la perfezione, che non esiste, genera una competitivita’ mostruosa, che non apprezzo, ma penso sia meglio del moello italiano (un modello chiuso dove chi ha il lavoro e’ ultraprotetto e chi non lo ha emigra).
    Poi, mio fratello e’ sindacalista all’ILVA e queste cose non le concepisce ma io le trovo sensate.

    Comment di Nick — 23 Ottobre 2009 @

  4. anch’io le trovo sensate. la perfezione non esiste, ma un’impostazione un po’ più inglese con un welfare un po’ più solidaristico rispetto a quello inglese non mi dispiacerebbe.

    Comment di alessandro — 27 Ottobre 2009 @

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