Cronachesorprese

19 Aprile 2009

Il voto segreto su Facebook

Filed under: Weekly Facebook — alessandro @

Voto segreto secondo FB: non dire a nessuno che si vota…

Per capirci: da tre giorni sono aperte le votazioni sul documento dei termini di servizio. Una specie di ballottaggio tra i termini vecchi e quelli nuovi che hanno suscitato molte polemiche.
Le votazioni si chiudono il 23 aprile a mezzogiorno.
Sono considerati utenti con diritto di voto quelli che erano utenti attivi alla fine di febbraio. Anche in questo referendum, come in altri ben più importanti, bisogna raggiungere un quorum, il 30%.

Un quorum altissimo, considerato che non c’è stata nessuna comunicazione agli utenti dell’apertura delle votazioni. Sono informati (e lo saranno in futuro per occasioni analoghe) i fan della pagina Facebook site governance, dalla quale si accede anche alle procedure di voto.

Che dire… non mi sembra il massimo della trasparenza.

16 Aprile 2009

La libertà secondo Ghedini

Filed under: semiminime — alessandro @

Nicolò Ghedini ad Anno Zero ha appena detto:

“Vede, la libertà di informazione, io la difendo sempre, è una cosa straordinaria…”

Io speravo che fosse una cosa ordinaria.

15 Aprile 2009

L’istinto del mestiere

Filed under: reading — alessandro @

“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero e coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.”

Pier Paolo Pasolini, sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974

Ripeto queste famose frasi di Pasolini stasera perché ho appena finito di leggere Profondo nero di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza. E anche perché quelle parole mi piacciono sempre più, a mano a mano che passa il tempo e che qualche inferenza in più riesco a farla, nel mio piccolissimo mondo e nella mia limitatissima esperienza, anch’io. Ma questo deve succedere, perché certe cose non succedano più: che ognuno si guardi intorno e tiri le somme che deve tirare.
Giuseppe Lo Bianco l’ho ascoltato a Perugia: il suo modo di ragionare mi ha molto impressionato e, un poco, entusiasmato. Il libro racconta la connessione possibile tra i casi Mattei, De Mauro e Pasolini, riassumendo bene lo stato della questione dopo le inchieste giudiziarie degli ultimi dieci -qunidici anni, che hanno tentato di fare luce sulle vicende, e dopo le rivelazioni del 2005 di Pino Pelosi. È un buon contributo per considerare da una prospettiva interessante la storia di quegli anni. Ma l’etichetta “strage di stato” continua a sembrarmi propagandistica: anche alla luce delle possibili connessioni su cui indagava con sacro furore Pasolini nell’ultima parte della sua vita, è abbastanza chiaro che non era lo Stato ma un Antistato quello che macchinava o avrebbe macchinato trame di potenzialità eversiva così evidente; e che la funzionalità di questi disegni al mantenimento del quadro politico di allora sarebbe ancora tutta da dimostrare anche una volta dimostrate tutte le connessioni tra i fatti che il libro prende in considerazione. Resterebbe dimostrata, invece, la funzionalità di queste trame e questi fatti delittuosi al manimento del potere economico di alcuni personaggi che hanno in effetti avuto in mano troppo potere in quegli anni, anche per colpa della politica; se si distinguessero una volta per tutte i due livelli si potrebbe, forse, ragionare con più serenità, e tutti insieme, come collettività senza alcuna riserva di parte, su tutto quello che è successo e che ancora ci tocca e ci ferisce.

13 Aprile 2009

Session Angel

Filed under: cronache — alessandro @

angelo sassofonista sagrada familia

Il bello di queste jam session è che non sai che succederà. E quindi non sai neanche che musica verrà fuori. Forse sarà squillante e solenne da mistero glorioso, forse sincopata e sommessa da mistero doloroso. In ogni caso non sarà la solita zuppa. Dicono che verrà un tempo in cui anche tra gli uomini qualcuno suonerà così. Anzi meglio. Sarà capace di soffiare nel suo strumento tutte le sue emozioni umane e portarle in aria, in cielo. Lo chiameranno, non per niente, The Bird.

Però chiariamo un equivoco, perché lo so che voi uomini fate una fatica bestia a capire (o anche solo a considerare: ma non considerare mai certe cose è uguale a non capirle…) la differenza tra ripetitività e serialità. Non sono di quelli che snobbano i cari vecchi Cori. Starci dentro è roba da pelle d’oca. E secondo molti, e io non ho nessuna obiezione, non puoi essere un vero jazzangel se non hai un solido background orchestrale da serafino, cherubino o almeno da onesto corifeo di sezioni minori. Sono partiture che puoi ripetere all’infinito, non annoiano mai. Per farvi capire, è come se qualcuno si dicesse stufo di vedere sorgere il sole o di sentire il ritorno della primavera: sempre la stessa cosa, no? Ma non è anche, sempre, una novità infinita?

La serialità invece è un’invenzione di un certo nostro ex collega che ora abita i piani di sotto. Non è mai stato un session angel, lui voleva dirigere e basta. Si serve di un ingannevole concetto di eccellenza per far credere che una musica perfetta è quella che non può più essere toccata. La cristallizza in una forma. L’ha sterilizzata, ma nessuno ci fa caso. Quindi la vende solo in copie conformi: nessuno può più rifarla, solo riprodurla così come è stata eseguita.

Quello che può succedere stamattina, di fronte a questo sepolcro, il nostro infimo discografico non può proprio immaginarlo e difficilmente lo tollererà: gli hanno già fatto capire che non potrà mai essere il produttore. Anche noi facciamo ancora fatica a capire. Ci hanno invitato a questa session e ancora nessuno di noi sa quale sarà il tema sul quale improvvisare. Di sicuro c’è un’attesa spasmodica, la sezione ritmica scalpita e noi delle ance siamo impazienti, qualcuno già sospira un tappeto introduttivo di note sommesse, come in Moolight in Vermont o Night in Tunisia.

E se venisse fuori uno di quegli standard sul quale puoi improvvisare per secoli senza mai ripeterti… io lo spero, mi sa che è così. L’importante è che ci sia sempre qualcuno che ogni tanto enuncia nuovamente il tema e poi puoi andare avanti quanto vuoi. Sai, una roba tipo Body and Soul…

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2008 – L’angelo schienadritta

9 Aprile 2009

La satira ai tempi del terremoto

Filed under: cronache — alessandro @

Questa sera un silenzio pesante ha accompagnato le abituali vignette di Vauro alla fine di Annozero. Le vignette non erano neanche male (soprattutto l’ultima: macerie sullo sfondo, Berlusconi vestito da Nerone con la lira in mano e l’immancabile sorriso: “ecco a voi the new town!“) ma la gente non ha voglia di ridere, e ci sta. Tuttavia capisco e approvo la scelta di Santoro: le vignette ci stanno anche in questa occasione. In un’altra recente circostanza drammatica, la guerra di Gaza, Vauro ha fatto una scelta diversa e polemica: al posto delle vignette ha disegnato dei giochi per bambini che ha idealmente regalato ad alcune piccole vittime dei bombardamenti. Satira anche questa? Sì, se si ammette che la satira non ha come scopo principale la risata o la sdrammatizzazione, ma la rottura di uno schema, un punto di fuga dalle considerazioni necessarie sui fatti (senza dimenticarli) che aiuta a pensare. Non tutte le vignette di Vauro sono riuscite, alcune sono decisamente fiacche e non sempre esprimono valutazioni che condivido; ma mi piace che quella voce, quello sguardo sia sempre presente qualunque cosa accada.

Faccio una considerazione analoga per Spinoza il cui primo post di battute a tema terremoto ha dato vita a una discussione abbastanza accesa, nei commenti, sull’opportunità di “ridere delle tragedie”, che mi sembra un modo riduttivo di vedere la cosa. Una commentatrice opportunamente ha risposto: solo gli uomini riescono a ridere della morte. Non è necessario spiegarlo: si ride per sentirsi uomini prima che per denigrare o mancare di rispetto. C’è anche un genere di satira adatto a momenti come questo, ne sono convinto. Per lo meno, vorrei che chi fa satira non smettesse di cercarlo.

E poi ci siamo noi, i giornalisti. Si sa che l’umorismo involontario è sempre il migliore. Avevo visto il servizio delle interviste agli accampati in macchina, non sapevo che era stato ripreso da Striscia la notizia ma mi sono reso conto subito che la candidatura al Pulitzer era già implicita.

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