Cronachesorprese

15 Gennaio 2009

La passione senza età per le tre ruote

Filed under: news factory — alessandro @

Se qualche narratore di talento passa di qua, provi a immaginare che cavolo ci faceva un sessantenne per strada alla guida di un triciclo.

13 Gennaio 2009

Prossima fermata Città di Dio

Filed under: cronache — alessandro @

I seriosi bigottazzi che stanno protestando per gli spettacolari bus atei non hanno capito nulla.
Gli autobus sono come ambasciatori, non portano pena. Al massimo i soliti ritardi. E non offendono nessuno, oltre all’intelligenza di chi ha ideato la campagna.

Vedo solo conseguenze positive. I bigotti sbroccano e si mostrano per quello che sono. I credenti, cioè quelli che sanno che non c’è nessuna contraddizione tra il credere e il godersi la vita (anzi), se la spassano ancora di più. Gli indifferenti e i tiepidi avranno qualche ragione in più per credere.

Bisogna pertanto organizzare collette nelle parrocchie per aiutare questi apostoli dell’Uaar, come per una giornata missionaria. Se continuano con queste genialate nel giro di una generazione l’ateismo sarà scomparso dalla faccia della terra, seppellito da una risata troppo umana per non essere anche divina.

11 Gennaio 2009

Serata De André, le pagelle

Filed under: le specie musicali — alessandro @

Siamo al decennale e mi sono rotto da dieci anni di celebrazioni in onore di Fabrizio De André. Amo le sue canzoni come le amano quasi tutti, sono state importanti per me come lo sono state per tutti. Ma la “deandreide” cominciata un attimo dopo la sua morte non l’ho mai sopportata. A Genova, in particolare, è un fenomeno assai pernicioso che alla normale pesantezza della retorica celebrativa accompagna quella sulla genovesità.
Una volta Estrellita ha detto una cosa che ho trovato molto convincente: De André è conosciuto da tutti, ma ognuno pretende di avere un rapporto esclusivo con lui e di poterlo / doverlo raccontare agli altri. Questo era un fenomeno ben osservabile negli anni dell’esplosione del grande successo del cantautore, ma non è mai veramente finito e ha preso poi la facile strada dell'”io che l’ho sentito dal vivo, io che l’ho sentito parlare una volta”, eccetera eccetera.

Lo speciale di Che tempo che fa ha avuto il merito di mettere in primo piano le canzoni. Ho appuntato, man mano che ascoltavo, voti e impressioni del tutto soggettive su quasi tutti quelli che hanno partecipato.

Vinicio Capossela 9
Stupenda Città vecchia, con la voce giusta, lo sguardo giusto che è il suo, e un insert impertinente che fa rimanere quel presentatorino ammodo di Fazio a bocca aperta, anche se poi fa finta di niente… Amo Vinicio :-)
Luciana Littizzetto 8
Mi ha stupito come voce recitante nelle Nuvole. È stata bravissima, e mi ha fatto molto piacere vederla anche un filino commossa, o almeno emozionata.
Samuele Bersani 7,5
Ottima scelta per Il bombarolo. La canta con sicurezza e ha il merito di sottolineare alcuni passaggi, facendo apprezzare uno dei testi più “acuminati” di De André.
Lucio Dalla 7
Ottima l’interpretazione di Don Raffaé, una canzone molto adatta a lui e alla sua teatralità.
Antonella Ruggiero 7
Niente male. Riesce a dare il suo inconfondibile tocco “semilirico” all’Ave Maria della Buona novella senza appesantirla, anzi, dando leggerezza a una canzone il cui arrangiamento originale non mi ha mai convinto: per questo brava anche l’orchestra.
Gianna Nannini 7
È perfetta per Via del Campo (la canzone…), nessuno ci ha mai pensato prima?
Tiziano Ferro 6,5
Coraggioso a scegliere Le passanti, una canzone solo apparentemente lontana dal suo stile ma sicuramente lontana dai temi per cui i suoi fan lo apprezzano. E lontana anche dal gusto di oggi, è una canzone da “vecchi cantautori”. Il risultato è buono e interessante.
Massimo Bubola ed Edoardo Bennato 6,5
Quando quei due fanno un blues come Quello che non ho difficilmente deludono, ma Bubola era troppo emozionato. Per quanto riguarda Bennato si potrebbe pensare che sia una delle canzoni di De André più adatte a lui, ma io ero rimasto folgorato dalla sua bellissima interpretazione di Canzone per l’estate fatta al Carlo Felice qualche anno fa, in un’altra serata celebrativa simile a questa. Sarebbe stato bello sentirla anche questa sera.
Eugenio Finardi 6,5
Mi è sembrato emozionato, si potrebbe spiegare così l’eccesso di espressione nel cantare Verranno a chiederti del nostro amore, una cover che è nel suo repertorio e che normalmente interpreta in maniera più sobria.
Jovanotti 6
Un’operazione puramente affettiva e simbolica la sua schitarrata in collegamento da Spoon River con il suonatore Jones. La sufficienza per il coraggio e la simpatia, velo pietoso su come ha cantato e ha suonato… ma in fondo è il bello di Lorenzo Cherubini.
Andrea Bocelli 5,5
Apprezzabile il tentativo di dare informalità alla sua partecipazione imbracciando la chitarra. Ma è solo un espediente di comunicazione. Non mi convince il modo in cui canta La ballata dell’amore perduto, risulta piatta.
Roberto Vecchioni 5
Una media: sette per gli accenni delle canzoni sul tema della guerra ai ragazzi e con i ragazzi. Tre per la più grande cazzata della serata: “l’uomo ha bisogno di essere capito, non perdonato”.
Piero Pelù 5
Non mi è piaciuto il suo Pescatore. Non mi sembra che abbia fatto scelte interessanti né come interpretazione vocale, né come arrangiamento. Io l’avrei visto meglio a cantare qualche brano del repertorio più “maledetto”, tipo La ballata dell’amore cieco.

Si possono ritenere fuori concorso per ovvi motivi la Pfm con Boccadirosa, Nicola Piovani con la sua “suite” su alcuni temi di Storia di un impiegato, Ivano Fossati con Smisurata preghiera e Cristiano De Andrè con Creuza de Ma.

10 Gennaio 2009

Palermo shooting

Filed under: lo spettatore indigente — alessandro @

Ormai conosco Wenders e so che quando mi siedo al cinema a vedere un suo film devo soltanto mettermi comodo, godermi le sequenze sempre godibili, e aspettare. Al regista tedesco piace giocare intorno al limite che può far perdere allo spettatore il senso di una misura narrativa. Lo so, e ormai non mi “frega” più: non chiedo niente alla storia finché non scatta quel qualcosa che mi catapulta dentro. Nel caso di Palermo Shooting lo scatto per me è coinciso con l’entrata in scena di Giovanna Mezzogiorno. Fino a quel momento ho pensato che fosse un film non troppo riuscito e che i fischi ricevuti da una parte del pubblico di Cannes fossero meritati. Poi ho cambiato idea. Non è un capolavoro, ma è un bel film.

Ci sono tutti gli ingredienti di Wenders.
C’è la capacità straordinaria di sintonizzarsi con una città, con lo spirito di un luogo.
C’è la musica, e ci sono i musici cooptati dentro alla pellicola, e questa volta prendono la piazza del protagonista che, ho letto, è il leader dei Toten Hosen; ma fanno una breve comparsa anche Lou Reed (un pallino del regista) e Patti Smith.
C’è la meditazione platonicheggiante sull’atto del vedere e su quanto il visibile è segno dell’invisibile (questa volta, a voler essere noiosi, un po’ banalizzata: ma ce ne fossero banalizzazioni di questo livello).
C’è una storia con una vita che arriva a un punto di rottura, o a un confine, e c’è il varcarlo in qualche modo; c’è un percorso che fa arrivare a un punto in cui passato, presente e futuro in una vicenda individuale possono essere guardati simultaneamente. Non è detto che sia un momento di maggiore consapevolezza, sicuramente è un momento di sintesi, e non è poco.

L’omaggio a due grandi maestri del cinema diventa palese molto presto, ben prima dei titoli di coda che lo dichiarano.
Grande Dennis Hopper.

5 Gennaio 2009

Naturaleza a medida de hombre

Filed under: cronache — alessandro @

La Rambla mette i pedoni al centro e dà loro il massimo spazio possibile, senza escludere gli autoveicoli che scorrono veloci ai lati. Pare l’uovo di Colombo, e non per niente Colombo è venuto qui a raccontare la sua India, quando non era più un sogno.

La Sagrada Familia è interamente costruita su multipli di 0,75 metri, il passo medio di un uomo in marcia. Nessuno se n’era mai accorto, ci sono voluti milioni di numeri ficcati in un computer per capirlo.
Il naturalismo e il modernismo di Gaudì, Montaner e di altri che hanno cambiato il volto di Barcellona non sono una rivincita della natura sull’antropizzazione eccessiva, ma un modo rivoluzionario e paradossale di rimettere l’uomo al centro dello spazio domestico e urbano: dimostrando che la città vive della foresta che ha intorno, anche se vorrebbe negarla costantemente nelle sue forme.

I bar, i bar de tapas, i caffé, i ristoranti e tutti gli innumerevoli anfratti in cui si può mangiare o bere o ascoltare musica nel vasto centro, ribera e barrio gotic in testa, vanno presi tutti insieme: forse commercialmente si fanno concorrenza, ma in realtà sono complessivamente un mosaico in continua ricomposizione, dove ogni posto a sedere o al banco o in piedi è una tessera che cambia e scolora nelle prossime e vicine.

E io pure mi sento una tessera viva e colorata qui dentro. Barcellona sarebbe come Genova, se non godesse di spazi così ampi, non funzionasse così bene e la gente non fosse così disposta agli incontri. Sento che la moda italiana del dire che in Spagna si è “più liberi” è una sciocchezza, perché questo è semplicemente un gran bel posto che viene voglia di far proprio, e la politica non c’entra nulla: sono gli italiani che se la raccontano così per giustificare a se stessi il desiderio di venire a stare qui, un impulso essenzialmente edonistico, sano come è sana la ricerca del piacere ragionevole, o la ricerca ragionevole del piacere.

Casa Batllò è un miracolo, e quando sarò miliardario me ne farò costruire una copia perfetta. Ma appena gli architetti pagati da me si metteranno al lavoro capiranno che sarebbe stupido, come sarebbe stupido costruire la copia di un uomo: casa Batllò e Pedrera sono paradigmi, o ancora meglio codici genetici che si possono replicare senza fare copie perfette, sono occasioni preziose per fare individui belli e irripetibili. Come? Con il mezzo naturale di sempre: tutto l’amore che puoi.

Fotoset su Flickr

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