Cronachesorprese

14 Settembre 2008

La famiglia ogm e le differenze da tutelare

Filed under: cronache — alessandro @

Chiedo scusa a Estrellita per aver replicato troppo nei commenti di un suo post a un altro commentatore. Ma non sopporto chi vuole per forza dipingere la chiesa e la gerarchia come una realtà retrograda, segnata da un gretto conservatorismo. Di solito accade quando un cattolico costringe tutti ad andare ai fondamenti non di una fede, ma della vita civile: e lo fa perché è in grado di farlo, mentre altri sembra che davvero non ne siano più capaci. Lo ha fatto Bagnasco l’anno scorso quando gli è capitato di dare un giudizio sull’ipotesi dei Dico che ha scatenato un putiferio ingiustificato. Uno spera che il tempo faccia giustizia di reazioni idiote, ma poi se le ritrova belle intatte dopo un anno e mezzo, idiozie storicizzate che sperano solo così di autonobilitarsi.

Certo c’é un problema di intolleranza molto grave all’origine di queste reazioni. Secondo molti la Chiesa non dovrebbe più permettersi di intervenire nel dibattito sui diritti civili secondo la propria cultura, secondo la propria idea di uomo. Ma con l’ umanesimo cristiano sono costruite la nostra convivenza civile, la nostra costituzione, le nostre leggi e quindi chi indulge in quell’intolleranza non è più in grado poi di spiegare a se stesso perché ad esempio il matrimonio eterosessuale, e solo quello, è previsto dalla costituzione. Significa non aver mai riflettuto seriamente sull’idea stessa di Stato e lasciarsi emozionare da ipotesi che sono viste come destinazioni ineluttabilmente progressive, mentre sono semplici opzioni che possono essere prese in considerazione ma anche no, perchè i diritti fondamentali sono già garantiti a tutti.

Lo Stato nasce da un patto all’interno di una comunità nazionale. Cambiare la definizione di famiglia signifiica non soltanto riscrivere la costituzione, ma anche scrivere un nuovo patto, significa andare alla radice. Si può anche fare, non è un tabù. Peò bisogna esserne consapevoli. La proposta dei Dico non andava così a fondo, dato che regolava solo le convivenze senza equipararle alle famiglie, però poneva in nuce il problema di un mutamento più radicale, e la dichiarazione di Bagnasco guardava in avanti prefigurando quale era la questione successiva che avrebbe potuto essere posta. Portando esempi, tra l’altro, da ciò che succede in altri paesi. A quel punto gli idioti cominciarono a strillare e a dire che per il presidente della Cei conviventi, omosessuali e pedofili erano la stessa cosa. Un delirio. Bagnasco invece aveva chiesto solo di considerare cosa potrebbe succedere se lo Stato rinunciasse a definire la famiglia anche nella sua natura (che gli idioti traducono, con esemplare rozzezza: entrare nella stanza da letto dei cittadini) e si limitasse a descriverla come generica convivenza di adulti consenzienti.

Come ho detto altre volte, se le convivenze civili in Italia verranno equiparate al matrimonio non sarò d’accordo, ma non mi straccerò le vesti. Noterò soltanto il rischio a cui andremo incontro: perdere le differenze, annacquare l’istituto matrimoniale mischiandolo con realtà ed esigenze del tutto diverse. Rischio civile, non morale. Perdere differenze e varietà non è progresso, perché le differenze e la varietà sono la ricchezza e la bellezza del mondo, come dice giustamente un altro commentatore di Estrellita.

12 Settembre 2008

Travaglio ammetta: ce n’è D’Avanzo…

Filed under: news factory — alessandro @

Ottimo il D’Avanzo nella controreplica a Marco Travaglio. Grazie alla Signora Anonima per aver messo in evidenza l’aspetto più rilevante dell’articolo, quella frase che spiega perfettamente l’anello debole del metodo Travaglio (del quale, a scanso di equivoci, stimo molto la passione per il giornalismo libero, l’aver posto la questione dei “fatti” in Italia come pochi altri negli ultimi vent’anni) e che mi gira in testa da tempo.

La tifoseria travagliesca si scatenerà come si è già scatenata quando questa storia è uscita, proteggeranno il loro idolo con applausi calorosi e avvolgenti alla prima occasione. Ma Travaglio, che sa andare oltre, deve riflettere e sicuramente ha già riflettuto molto. Deve riflettere sul giudizio professionale che arriva da un giornalista che non è certo nella media dei giornalisti italiani sui quali Travaglio riversa spesso i suoi sarcasmi, ma è uno che si è dedicato al giornalismo d’inchiesta con ottimi risultati. D’Avanzo fa notare che a frequentare assiduamente le procure si può raccogliere materiale su chiunque, che fare quello che fa Travaglio è molto più facile di quello che può sembrare allo spettatore incantato di Anno Zero o degli x-day di Grillo.

D’Avanzo in sostanza dice: guarda che se volevo mi mettevo a fare il Travaglio molto prima di te. Ci vuole un attimo. Perché i giornalisti come me non l’hanno mai fatto? Forse perché, semplicemente, non è una buona cosa.
E non perché, come fa intendere Travaglio, in Italia non si possono dire certe cose, ma perché in Italia esiste davvero un’opinione pubblica giustizialista che non è capace di andare ai fatti, e il moralismo travagliesco, invece che riscattarla da questa condizione, la alleva in questa condizione. Quando è uscita la polemica su Schifani ho difeso moderatamente Travaglio, perché non si può mettere in dubbio la sua libertà di dire le cose che ha detto, e di dirle in televisione, e nelle reti pubbliche. Ma la responsabilità se la deve prendere, soprattutto sul come ha detto quelle cose. Ha ragione D’Avanzo a notare che premettere sulla subumanità di Schifani non è utile a raccontare alcun fatto, serve solo a eccitare il pubblico con l’odore del sangue. Se poi a questo si fa seguire il racconto di un fatto che di per sé non significa nulla, si può forse sperare di capitalizzare ugualmente il successo nelle file dei fan, ma onestamente non si può presumere di andare oltre.

Chi stima davvero Travaglio (e quindi non lo adora incondizionatamente) dovrebbe rallegrarsi della lezione che ha ricevuto. Magari non lo darà a vedere, ma sono convinto che ne farà tesoro.

Prima le strade, poi le case

Filed under: cronache — alessandro @

Abito in una delle strade genovesi in cui si pratica la prostituzione, e sarò naturalmente contento se il decreto legge che modifica finalmente la legge Merlin dopo 50 anni toglierà un po’ di “casino”, in tutti i sensi, da sotto la mia finestra. Non che il fenomeno mi abbia mai causato grandi disagi. Non penserò che il problema sarà risolto solo perché non ne vedrò più gli effetti, o ne vedrò meno. Sono convinto tra l’altro che la prostituzione sia a sua volta un effetto e non una causa del degrado del quartiere in cui vivo. Causa diretta dello stabile insediamento della prostituzione qui è la mancanza di una seria pianificazione urbanistica e della mobilità, è il fatto che il Comune di Genova se ne frega di Sampierdarena e l’ha individuata da tempo come zona sacrificabile allo sviluppo della città e del porto, e tanto peggio per chi ci abita e chi ci lavora.
Questo è il vero, l’unico problema dal punto di vista locale. Non sopporto quelli che abitano nella mia zona e che si lamentano di vivere nel terrore e di non poter uscire di casa. Il fastidio causato a me direttamente dalla prostituzione, invero moderato, è il traffico e a volte lo schiamazzo serale (ma ho un sonno a prova di bomba); è il lieve imbarazzo di invitare a cena qualcuno con cui non sono in grandissima confidenza; è la necessità di accompagnare una donna, se deve tornare a casa o anche semplicemente verso la sua automobile. Se avessi dei figli forse prenderei in considerazione l’ipotesi di cambiare casa, ma io mi sento tranquillo.

Trovo il decreto lineare e opportuno, un aggiornamento della legge Merlin più che una modifica sostanziale. Viene abrogato l’articolo 5 che vieta l’adescamento in tutte le sue forme perché si supera con un principio più restrittivo sull’esercizio della prostituzione all’aperto, causa di “allarme sociale”: una definizione che attirerà molte critiche ma che a mio parere è difendibile; sempre meglio, comunque, dell’ipocrisia di ostacolare la contrattazione multando i clienti solo per intralcio al traffico o amenità simili.
L’aggiornamento è reso necessario dal mutare del fenomeno: fino a trent’anni fa non esisteva una prostituzione così poderosa per le strade. E non si tratta solo del riversarsi nelle strade della prostituzione che un tempo si praticava nelle case chiuse, sia perché non c’era così tanta “importazione”, sia perché la prostituzione al chiuso non è scomparsa, anzi.

Però in parte ha ragione anche Don Ciotti a dire che il problema nelle case potrebbe aggravarsi. Allora, prima di accorgerci che le prostitute vengono tolte dalle strade solo per essere stipate in chissà quanti tuguri (ma anche in lussuosi appartamenti, il concetto non cambia) dove subiscono più facilmente violenze e soprusi da clienti e sfruttatori, facciamo un altro passo in avanti: multe non solo a prostitute e clienti per strada, ma anche a prostitute e clienti nelle case private ove sia ravvisabile il contesto di sfruttamento. La modifica prevista dal decreto attuale va contro l’ipocrisia secondo la quale non si potrebbe stabilire, in base a una semplice contrattazione per strada, se ci sia sfruttamento o no. Allora con lo stesso criterio si può anche andare contro l’ipocrisia che non vuole distinguere quali annunci sui giornali pubblicizzano massaggiatori e quali prostitute, ad esempio. E pur non potendo e non volendo contrastare la prostituzione come libera scelta individuale, non dovrebbe essere difficile, con sistematici controlli sul luogo e sulle proprietà immobiliari o sui contratti di affitto, stabilire quali di queste case adibite alla prostituzione sono in effetti controllate da un racket e quali no; non dovrebbe essere difficile individuare e multare gli italianissimi proprietari di appartamenti che li affittano a prezzi esorbitanti, esercitando di fatto un’attività di sfruttamento della prostiituzione. E d’accordo che fatta la legge trovato l’inganno, d’accordo che si troverà il modo per nascondere meglio l’attività illecita; ma intanto il raggio di azione degli sfruttatori sarà sensibilmente limitato, al punto da rendere l’ “industria” molto meno remunerativa.

Difficile pensare a una semplice trasposizione della prostituzione di strada nelle case: in parte avverrà, ma il fenomeno complessivamente dovrebbe diminuire. Ci saranno meno “vetrine”, meno esposizione della “merce”, l’ “acquisto” sarà meno immediato, l’attività “promozionale” sarà ridotta di molto e quindi, se le leggi del mercato non sono un’opinione, ci sarà meno giro d’affari. Nove milioni e mezzo di clienti all’anno non sono facili da nascondere.
Il decreto Carfagna dunque non è sbagliato, è solo incompleto, o se vogliamo solo un primo passo. Mi auguro che esistano le condizioni per andare avanti.

11 Settembre 2008

Sbagliare da professionisti

Filed under: news factory — alessandro @

Il giornalista che non sbaglia mai non esiste. Se tenta di farlo credere, è un mentecatto. Requisito essenziale della professione è saper ammettere tempestivamente i propri errori, anche perché la scoperta dei propri errori è spesso spunto di maggiore chiarezza, oltre che per se stessi, anche per i lettori.
Dipende molto, naturalmente, dall’onestà e dallo stile. Cronachesorprese rende omaggio allo stile di Stefano Rissetto. Che mi perdonerà se lo cito in occasione di un errore, ma c’è qualcosa di magico nel tirare fuori pezzi così da un errore.

10 Settembre 2008

Back to Reality

Filed under: lo spettatore indigente — alessandro @

Ho deciso: per la stagione che va a incominciare faccio la scelta di rimanere informato, almeno a grandi linee, su quello che avviene nei reality show. Sfido la tristezza infinita di vedere Cabrini all’Isola dei Famosi. E sfido molte altre cose che non mi piaceranno. Ci riderò su per difendermi, ma voglio essere informato. Quindi sono molto gradite segnalazioni, nei commenti ai post che dedicherò all’argomento o anche per mail, di episodi e scene salienti che meritano di essere considerate. Al tempo della Pupa e il secchione, ad esempio, il Mariachi mi aveva segnalato l’assai rimarchevole lezione di Califano che insegnava ai secchioni, tutti a prendere appunti in religioso silenzio, l’arte dello schiantafemmine: un pezzo di grande televisione.

Devo capire alcune cose. Devo capire innanzitutto come è possibile che i reality siano ancora seguiti. E farmi un’idea di chi li segue, perché sono gli stessi con cui viaggio in autobus tutti i giorni. Poi voglio capire in quale schema narrativo vengono inquadrati gli “eroi” del grande fratello. Se rimangono nella testa al punto da riempire le conversazioni, vuol dire che rispondono a un bisogno di identificazione. Però non capisco più quale, perché ormai lo schema del buzzurro senza qualità incarnato dal primo Taricone, che sta in Tv come ci starebbe il mio vicino di ombrellone, dovrebbe aver fatto il suo tempo.

Lo faccio con quello spirito paradossale che mi ha insegnato Carlo Freccero quando a lezione di sociologia delle comunicazione ci faceva il mazzo perché non guardavamo Raffaella Carrà. “Voi volete fare i giornalisti e non avete mai visto il programma della Carrà di quest’anno? Non dico naturalmente di attaccarvi alla tv, fate bene, intendiamoci: però almeno una volta dovete vederlo, come lo vedono milioni di italiani. Se no come pensate, e soprattutto con chi pensate di comunicare nei media generalisti?”.
E noi tutti mogi a sciropparci Carramba.
Nella mia lunga vita da studente ho viaggiato da un punto di partenza agli antipodi, insomma: alle elementari ci beccavamo le ramanzine perché discutevamo delle ultime puntate di Fracchia (grande mito televisivo della mia infanzia) o di Tante Scuse (il migliore Vianello mai visto) sottraendo tempo prezioso ai libri; da studenti di giornalismo parlavamo troppo di McLuhan e Debord, di Prodi e Berlusconi e come “compito a casa” dovevamo guardare la TV spazzatura.

Torno a studiare, quindi. Mi sono divertito fin troppo ;-)

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