Nel 1981 un amico parlando mi chiese: “L’hai visto Dallas?”. Io che non ne avevo mai visto un fotogramma e non avevo intenzione di farlo nonostante lui e altri me ne parlassero, risposi: “No, e neanche De Gregoris“.
Oggi lo stesso amico mi avrebbe mandato una mail con un link a uno spezzone di Dallas ragnato da Canale 5 e messo su Youtube. Avrebbe ottenuto più o meno la stessa risposta, e avrebbe fatto ugualmente pubblicità gratuita al programma. Anzi, l’avrebbe fatta con maggiore efficacia, visto che avrebbe potuto mandare la stessa mail con un solo clic ad altri trenta amici per comunicare il suo gradimento e condividerlo.
Non credo che Mediaset speri davvero di ottenere il risarcimento che chiede. Vuole porre la questione, e naturalmente penso che abbia torto; ma non è detto che sollevare il caso anche in Italia sia un male. In Spagna purtroppo sembra che Telecinco stia avendo la meglio su Youtube; in Italia non è detto che avvenga, nonostante il confiltto di interessi tra il governo e Mediaset.
Quintarelli dice che non si può parlare di giorni di visione televisiva persi perché le trasmissioni erano già andate in onda. Ed è vero. Ma è anche vero che Mediaset potrebbe rivendicare l’esclusiva dell’uso del materiale video anche su internet. Almeno fino a quando non si chiarisce un punto, che è il valore aggiunto dato dal telespettatore – navigatore che sceglie un frammento televisivo, lo ri-presenta e lo offre a un pubblico e a target diversi da quelli per i quali era stata costruita la trasmissione televisiva. Pensa davvero Mediaset di poter generare e gestire questo valore aggiunto (puntualizzo: sto parlando di valore aggiunto e non di user generated content, che è altra cosa)? Se vuole il risarcimento, a mio modesto parere deve dimostrare di poterlo fare.
E come? Sarei davvero curioso di vederlo. Quel valore si genera su internet, non in televisione. Cosa fa Mediaset, mette tutti i suoi programmi disponibili in rete e dice: “prendeteli, tagliuzzateli, commentateli come volete ma poi li ripubblicate qui e non da altre parti, così gli introiti pubblicitari vanno ancora ai produttori e agli autori, e non a Youtube – Google”? Qualcosa mi dice che non funzionerebbe, e la neonata Digitalia dovrà farsene una ragione. Oppure se n’è già accorta, e potrebbe essere questo il motivo della causa appena intentata. Ad ogni modo se Mediaset non mette a punto una piattaforma simile a quella di youtube non può vantare diritti sugli introiti generati da un servizio che non riesce a dare, o che non riesce a far funzionare perché il navigatore difficilmente lo userebbe. Senza contare, come molti hanno giustamente fatto notare, il ritorno pubblicitario e di audience che viene alle produzioni mediaset dall’essere replicate nelle piattaforme di video sharing e negli incalcolabili (per numero e per valore) passaparola. Se Mediaset riconosce capacità attrattiva e valore economico a un servizio allora dovrebbe anche pagare tutta la pubblicità gratuita fatta al suo marchio e alle sue produzioni attraverso quel servizio. E dovemmo parlare, inoltre, di reciprocità: l’hanno detto in tanti, un’emittente come Italia 1 ha mandato in onda centinaia di video presi dalla rete, youtube compresa, senza pagare un centesimo.
Il principio che dovrebbe passare è che non si può pensare di gestire tutto il valore generato dall’interesse del pubblico verso un contenuto diffuso attraverso un mezzo di comunicazione. E che se Mediaset pensasse di insistere sull’unico argomento che può portare, cioé il diritto di scegliere il contesto in cui diffondere un contenuto di sua proprietà, mi verrebbe voglia di rivedere la mia posizione sulla querelle anni ottanta novanta che riguardava i film d’autore “snaturati” dagli intermezzi pubblicitari. All’epoca davo ragione a Mediaset; per motivi analoghi, e per molte altre ragioni e condizioni che vent’anni fa non esistevano, sulla questione di oggi le dò torto.