Cronachesorprese

2 Agosto 2008

L’esperienza di spettatore non è in vendita

Filed under: il viandante digitale,lo spettatore indigente — alessandro @

dallas e lucio dalllaNel 1981 un amico parlando mi chiese: “L’hai visto Dallas?”. Io che non ne avevo mai visto un fotogramma e non avevo intenzione di farlo nonostante lui e altri me ne parlassero, risposi: “No, e neanche De Gregoris“.
Oggi lo stesso amico mi avrebbe mandato una mail con un link a uno spezzone di Dallas ragnato da Canale 5 e messo su Youtube. Avrebbe ottenuto più o meno la stessa risposta, e avrebbe fatto ugualmente pubblicità gratuita al programma. Anzi, l’avrebbe fatta con maggiore efficacia, visto che avrebbe potuto mandare la stessa mail con un solo clic ad altri trenta amici per comunicare il suo gradimento e condividerlo.

Non credo che Mediaset speri davvero di ottenere il risarcimento che chiede. Vuole porre la questione, e naturalmente penso che abbia torto; ma non è detto che sollevare il caso anche in Italia sia un male. In Spagna purtroppo sembra che Telecinco stia avendo la meglio su Youtube; in Italia non è detto che avvenga, nonostante il confiltto di interessi tra il governo e Mediaset.

Quintarelli dice che non si può parlare di giorni di visione televisiva persi perché le trasmissioni erano già andate in onda. Ed è vero. Ma è anche vero che Mediaset potrebbe rivendicare l’esclusiva dell’uso del materiale video anche su internet. Almeno fino a quando non si chiarisce un punto, che è il valore aggiunto dato dal telespettatore – navigatore che sceglie un frammento televisivo, lo ri-presenta e lo offre a un pubblico e a target diversi da quelli per i quali era stata costruita la trasmissione televisiva. Pensa davvero Mediaset di poter generare e gestire questo valore aggiunto (puntualizzo: sto parlando di valore aggiunto e non di user generated content, che è altra cosa)? Se vuole il risarcimento, a mio modesto parere deve dimostrare di poterlo fare.

E come? Sarei davvero curioso di vederlo. Quel valore si genera su internet, non in televisione. Cosa fa Mediaset, mette tutti i suoi programmi disponibili in rete e dice: “prendeteli, tagliuzzateli, commentateli come volete ma poi li ripubblicate qui e non da altre parti, così gli introiti pubblicitari vanno ancora ai produttori e agli autori, e non a Youtube – Google”? Qualcosa mi dice che non funzionerebbe, e la neonata Digitalia dovrà farsene una ragione. Oppure se n’è già accorta, e potrebbe essere questo il motivo della causa appena intentata. Ad ogni modo se Mediaset non mette a punto una piattaforma simile a quella di youtube non può vantare diritti sugli introiti generati da un servizio che non riesce a dare, o che non riesce a far funzionare perché il navigatore difficilmente lo userebbe. Senza contare, come molti hanno giustamente fatto notare, il ritorno pubblicitario e di audience che viene alle produzioni mediaset dall’essere replicate nelle piattaforme di video sharing e negli incalcolabili (per numero e per valore) passaparola. Se Mediaset riconosce capacità attrattiva e valore economico a un servizio allora dovrebbe anche pagare tutta la pubblicità gratuita fatta al suo marchio e alle sue produzioni attraverso quel servizio. E dovemmo parlare, inoltre, di reciprocità: l’hanno detto in tanti, un’emittente come Italia 1 ha mandato in onda centinaia di video presi dalla rete, youtube compresa, senza pagare un centesimo.

Il principio che dovrebbe passare è che non si può pensare di gestire tutto il valore generato dall’interesse del pubblico verso un contenuto diffuso attraverso un mezzo di comunicazione. E che se Mediaset pensasse di insistere sull’unico argomento che può portare, cioé il diritto di scegliere il contesto in cui diffondere un contenuto di sua proprietà, mi verrebbe voglia di rivedere la mia posizione sulla querelle anni ottanta novanta che riguardava i film d’autore “snaturati” dagli intermezzi pubblicitari. All’epoca davo ragione a Mediaset; per motivi analoghi, e per molte altre ragioni e condizioni che vent’anni fa non esistevano, sulla questione di oggi le dò torto.

1 Agosto 2008

Giorni e nuvole

Filed under: lo spettatore indigente — alessandro @

giorni e nuvole

Ho visto solo ora questo bellissimo film di Soldini, in quella che io chiamo la stagione di recupero estiva: i titoli che mi sono perso durante l’anno visti nei cinema all’aperto. Che quest’anno, purtroppo, sono diminuiti: scomparsa l’arena estiva di Villa Croce, non pervenuta quella di Villa Imperiale, in città restano solo l’Eden di Pegli e la Sciorba; quanto alla Marina dell’Aeroporto non ci sono mai stato, ma mi dicono che non sia male.
La malinconia è accresciuta dallo stato in cui abbiamo trovato l’Eden: sporchino, abbandonato, con l’erba alta (molto alta) tra le sedie. Quattro gatti di spettatori, e altrettanti veri gatti tra gli spettatori.

Giorni e nuvole è una storia ambientata a Genova: ci sta benissimo, anche se la storia in sé non è necessariamente genovese. Eppure c’è da chiedersi se sia stata Genova a ispirare la storia o se la città sia stata individuata come location adatta da Soldini o qualcuno della produzione in seguito a una buona intuizione. Credo che la risposta sia a metà: probabilmente la film commission genovese sta lavorando bene, perché si vedono sempre più frequentemente troupe in città; però Soldini se le è proprio girate bene le strade e le alture, chissà quante fotografie, quanti chilometri di pellicola per scegliere scorci e ambientazioni così efficaci.

Le nuvole che irrompono nei giorni sono i problemi, ma anche la bellezza. I panorami sulla città che punteggiano tutto il film sottolineano questa ambivalenza: sul disegno tormentato e multicolore del centro storico, del porto, del ponente, delle alture di Albaro come di quelle di Rivarolo le nuvole che vanno e vengono disegnano luci e ombre, nascondono il sole e lo rivelano, ma scoprono soprattutto la profondità, le mille dimensioni oltre la terza di un disegno urbano che interroga, che incuriosice, che muove i desideri e accende le speranze, ma anche spegne e annichilisce. Senza sosta, apparentemente senza destino. Ma se non c’è la destinazione perché il movimento, perché le luci e le ombre, perché i giorni e le nuvole… E mettiamo che il senso non sia detto o non si possa dire mai, ma questa corrente alternata spinge in una direzione. E allora bisogna andare.

E Michele ed Elsa vanno. La vita dei due protagonisti (Albanese e Buy, fantastici, adorabili) e della figlia Alice è aperta alla bellezza. È ordinata perché possano viverla, sperimentarla. Magari a turno, uno per volta mentre due fanno fatica anche per l’altro. Si può sopportare tutto, ma non che la bellezza dell’arte nascosta tra gli intonaci della città vecchia (e che bisogna tirar fuori, a tutti i costi), del mare in una barca niente male ma non da ricconi, di una conversazione a cena tra amici abbia lo spazio che deve avere. E nulla cambia di questa attesa-pretesa anche quando Michele perde il lavoro e si trova senza un soldo. Cambia la fatica da fare, ma non l’attesa della bellezza. E l’affetto tra i tre (e soprattutto tra i due) è più o meno sotterraneamente governato da questo. Se qualcosa rischia di rompersi tra loro non è quando rischiano di rimanere senza casa o senza mangiare, ma è quando uno dei tre (e a turno lo fanno tutti e tre) rinuncia a guardare e ad aspettare la bellezza spinto dalla necessità quotidiana. Perché sembra giusto, perché sembra di non poter fare altrimenti. Oppure perché in fondo la bellezza impegna, non è solo estasi e godimento. Impegna con la sua misura esigente ma benedetta.

Giorni e nuvole è questo, per me. Poi è il buon gusto di non virare mai nel politico e nell’ideologico, anche quando sarebbe facile. È la gradevolezza dei personaggi secondari, tanti tipi molto molto genovesi, veri, divertenti, memorabili, compresa l’amichevole comparsata di un noto docente universitario. È l’immediata solidarietà e familiarità che si sente con i personaggi, perché è veramente difficile non trovare almeno un momento, almeno un’emozione della nostra storia in questa storia.

…ah, incredibile: anche in questo film si sente la romanza del Don Carlos che c’è in Anaconda :-)

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