Cronachesorprese

13 Febbraio 2008

Cloverfield, storia di una telecamera

Filed under: lo spettatore indigente — alessandro @

Ha ragione Tambu: Cloverfield funziona. E ho visto anch’o le stesse esternazioni di protesta che ha visto lui. Il pubblico si divide istintivamente alla fine della proiezione in due blocchi: qualcuno smanaccia e ride nervosamente rivolto agli amici o anche platealmente agli altri spettatori, altri si rannicchiano soddisfatti nella poltrona mentre scorrono i titoli di coda, ripercorrendo le fasi salienti del film e pregustando le discussioni con gli amici. Io mi sono schierato con il secondo blocco.

Ha ragione Caino, Cloverfield può essere letto come rappresentazione di un gigantesco cover-up, ancora più gigantesco di tutti quelli che qualcuno è riuscito a immaginarsi per fatti veri, dallo sbarco sulla luna al complotto dell’11 settembre. Potete immaginare un cover-up più convincente di un insieme di soggettive come quella del film, che non si danno altro compito che incrociarsi tra di loro per ricostruire il meglio possibile l’identità del mostro? Notate, è il gioco preferito di gran parte degli spettatori di Cloverfield. Allora si comportano verso la fiction esattamente come desidera il grande narratore, che è un grande depistatore – insabbiatore e solo casualmente non lavora per la Cia.

Ha ragione Kurai, questo è uno user-generated monster e non saprei spiegare meglio di lui il perfetto tempismo di Cloverfield rispetto a tutto quanto è duepuntozero. Sono d’accordo solo parzialmente invece con ciò che dice sui flashback. Cloverfield funziona non solo per come accoglie e rappresenta il rapporto con i media della Youtube generation, ma anche dal punto di vista narrativo. Funzionano quei flashback, sono una delle invenzioni migliori del film. Ma, a mio parere, non sono flashback.

Cos’è un film? È una sequenza di immagini. La storia di Cloverfield non è la storia della distruzione di New York ad opera di un mostro che non si sa da dove viene e non si sa neanche se alla fine vince o perde. È la storia di una telecamera attraverso le persone che l’hanno usata e la vicenda che ha documentato, non il contrario. È il vero punto di unità della narrazione. È il brandello di umanità che resiste a tutto, che non può essere annientato: prende il posto dell’eroe indistruttibile visto in tanti film del filone catastrofico. Sì Kurai, quella telecamera sembra resistente, e non so di che marca sia anche se il product placement collegato all’oggetto, in diverse scene del film, è abbastanza esplicito; ma resiste anche in più di un significato.

È la memoria in tutta la sua grandezza e fragilità, con il suo costo e la dedizione che a volte richiede. Dal punto di vista di chi trova la telecamera “nell’area precedentemente conosciuta come Central Park” le immagini non si distinguono in flashback e narrazione principale, sono tutte memoria allo stesso livello. E Cloverfield è una bellisima riflessione sui media: il mezzo di comunicazione basato su tecnologia digitale è l’unico manufatto che tendenzialmente si può sostituire all’uomo, perché è capace di memoria. Altro che robot. Allora cominciamo a vedere, noi occhi orecchie e memorie duepuntozero, dove andavano a parare HAL 9000 e tutti i suoi fantascientifici epigoni. Eravamo fuori strada con la robotica e la biomeccanica, la vera metameccanica non è quella antropomorfa, è quella per così dire mnemomorfa, è il mezzo di comunicazione digitale.

Poi vedremo cosa diventerà questo fenomeno Cloverfield. Va molto oltre il film, pochi dubbi. Ma intanto il film è perfettamente godibile in sé, per quello che mi riguarda. Con le sue citazioni esplicite ed evocazioni intelligenti. Con il suo saper mettere in secondo piano un mostro che sta devastando New York, raccontando una devastazione molto più sottile e terribile, quella dei legami tra gli uomini che si schiantano, che saltano uno dopo l’altro come le corde del sartiame di un veliero in tempesta. Ma c’è la telecamera che resiste.

Vi ricordate l’occhio di Terminator che si spegne? Beh, anche l’occhio di Terminator era una telecamera. Ma quello spegnimento era tanto simile a una morte. La telecamera di Cloverfield al massimo esaurisce la batteria, o passa in stand by. In attesa di nuovi operatori attraverso cui raccontarsi.

4 Comments »

  1. volevo segnalarti questo: http://fantasy.gamberi.org/2008/02/09/recensioni-film-cloverfield/
    è una recensione che tende a scardinare cloverfield come evento cinematografico e come pellicola.
    E’ difficile non essere d’accordo.
    Credo tuttavia che questa “narrazione” sia uno dei migliori esempi “moderni”. C’è superficialità ed esplosioni e curiosità, c’è una tecnica narrativa “usata ma tenuta sempre in garage” praticamente nuova.
    E non so se per culo o se per genio c’è soprattutto la metafora e svariati livelli di lettura.

    Comment di caino — 13 Febbraio 2008 @

  2. […] è naturale che sia così e non ce n’è nemmeno bisogno. Sostanzialmente ha ragione Alessandro: Cloverfield è la storia di un frammento digitale di umanità, non la storia di un mostro che rasa […]

    Pingback di 30 seconds to Tambu · La spiegazione di Cloverfield — 13 Febbraio 2008 @

  3. è difficile non essere d’accordo se si va a vedere cloverfield come “film di mostri”: la blogger mi sembra una vera appassionata del genere ed esprime tutta la sua delusione. sarà che io sono rimasto piacevolmente sorpreso dal film proprio perché di mostri non mi frega una cippa :-)

    Comment di alessandro — 13 Febbraio 2008 @

  4. Mi è piaciuto un sacco . La scelta del “ritrovamento di un documento digitale ” è semplicemente inquietante . Una grande idea , resa ancor più grande da una storia e una realizzazione tecnica , a mio avviso , molto azzeccate .

    Comment di Alessio — 25 Febbraio 2008 @

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