Cronachesorprese

14 Luglio 2007

Un genovese a Londra

Filed under: spider report — alessandro @

Mai avuto tanti contatti con Londra come quest’anno. Ci sono stato per la prima volta nella mia vita, e amici e conoscenti hanno deciso di andarci a vivere.
L’ultimo è stato Nicola.
Le mail che ha mandato da maggio, più o meno con cadenza settimanale, erano così divertenti e interessanti che sono naturalmente sfociate in un blog. Finalmente.

13 Luglio 2007

Petizione

Filed under: cronache — alessandro @

Detto fatto. Ho auspicato una petizione in uno degli ultimi commento e un momento dopo mi sono accorto che esisteva già. Quindi eccola.

Ripeto ciò che ho già detto in diverse occasioni. Che io sia d’accordo o no con convinzioni, stile e contenuti del blogger in questione non è importante. Io voglio che i blog siano considerati adulti da chi li fa, chi li legge, chi li legge solo ogni tanto, chi ne ha visto uno una volta e pensa che siano solo cazzate autoreferenziali, chi ne parla senza conoscerli, chi non li sopporta, chi li giudica perché vive solo dei suoi pregiudizi o perché veste una toga e giudicare è il suo mestiere.

Solo questo voglio. Voglio che siano considerati, almeno dalla legge, espressione libera di uomini liberi e adulti. Voglio che le eventuali sanzioni, che a volte sono meritate, siano commisurate a questo, alla realtà di una libera espressione del pensiero, tutelata dalla Costituzione; espressione di un uomo libero che può pagare per le cose che afferma e di cui si prende la responsabilità ma che non può essere fatto tacere.

12 Luglio 2007

Fenomenologia di un blogger d’assalto

Filed under: cronache — alessandro @

Allora, naturalmente il provvedimento di sequestro del blog di Piero Ricca da parte della Guardia di Finanza è iniquo e puramente censorio. E su questo non si discute.
Anzi, ne discuto limitatamente a questo aspetto: se un quotidiano scrive qualcosa di ingiurioso su un politico, la Guardia di Finanza sequestra forse i pc della redazione e blocca le rotative? No, il giornale si becca la querela, pubblica eventuali smentite, correzioni, ritrattazioni, e va avanti. Allora in base a quale norma si tolgono a un blogger i diritti di amministrazione del proprio spazio web? Stiamo scherzando? Gli si può imporre al massimo di mettere offline i contenuti oggetto della querela, salvo poi il diritto di rimetterli online, nel caso il giudizio sia a favore del blogger e a sfavore del querelante. Se esistono norme diverse, o precedenti che fanno giurisprudenza, sono sicuramente vessatori e andrebbero cambiati. Se invece il provvedimento restrittivo adottato è stato disposto arbitrariamente dall’autorità giudiziaria bisogna fare in modo che in futuro non accada più, perché è una grave limitazione alla libertà di espressione.

Ciò detto, le premesse, lo stile e parte dei contenuti dell’azione di Piero Ricca e di Qui Milano Libera non mi piacciono.

Le premesse sono grossomodo quelle di Beppe Grillo e della sua iniziativa sull’epurazione dal Parlamento degli inquisiti: non sono d’accordo e ho già spiegato perché.

Lo stile è quello della provocazione a tutti i costi, e lo dico bonariamente, senza nessuna sfumatura dispregiativa e consapevole di quanto sia importante, per la libera informazione, la capacità di lanciare provocazioni intelligenti. Ma Ricca vuole fare passare l’idea che al cittadino è rimasto soltanto questo modo per farsi sentire. Semplicemente, non è vero. E poi non mi piace mai chi si autoelegge a voce della gente, in qualsiasi contesto e per qualsiasi ragione.

Risponde a tono anche Luciano Violante, nel momento in cui è oggetto di una di queste azioni di disturbo: “Lei è un bravo ragazzo, ma come provocatore è modesto… volevo invitarla a essere migliore come provocatore”. A Piero Ricca a volte riesce, a volte no.
Sicuramente gli è riuscita la sua prima storica incursione contro Silvio Berlusconi, e le tre contro Vittorio Sgarbi. Molto interessante la reazione di Alessandro Profumo e degli altri partecipanti a un convegno, che dimostrano di avere un’idea bizzarra di cosa sia un incontro aperto al pubblico e di non sapere a cosa serve una liberatoria su materiale filmato.
Per quello che ho visto, però, a mio parere ha fatto un buco nell’acqua con Fedele Confalonieri, che gli risponde nel merito e lo invita a documentarsi meglio, con il trio Violante – Fassino – Boselli e con Mastella, che opportunamente gli fa notare che non è impossibile o proibito fare delle domande a un ministro, ma che gridare in un convegno forse non è il modo migliore. Ricca vorrebbe dimostrare in questa occasione che certe domande non si possono fare, ma dimostra soltanto di aver cercato, con un comportamento aggressivo e indisponente, la reazione infastidita come pretesto per rinfacciare al ministro certe sue discusse frequentazioni.
Massimo D’Alema arriva con la sua solita flemma, dopo aver risposto gentilmente e puntualmente alle domande, a minacciarlo di querela; Emilio Fede senza alcuna flemma lo insulta, tira sputi, riceve insulti a sua volta e querela. In entrambi i casi il comportamento di Ricca è stato oggettivamente ingiurioso, indipendentemente dalla fondatezza delle accuse che avanza. Ricca farà bene, come ha annunciato, a rispondere a Fede con una controquerela (voleva far “sbroccare” l’Emilio e c’è riuscito).

Ricca grida insistentemente: voglio solo fare delle domande. Ma se tutti lo facessero nel modo scelto da lui, sarebbe davvero inutile. Io penso che spesso anche la presenza dei giornalisti, soprattutto di quelli televisivi, fuori dai palazzi ad aspettare i politici per carpire frasi e dichiarazioni sia più di facciata che sostanziale. È un modo facile, una scorciatoia. E comunque bastano e avanzano i giornalisti: che lo facciano anche i blogger come Ricca non aggiunge niente all’informazione e alla consapevolezza dei cittadini. Non discuto che abbia il diritto di provarci, discuto l’utilità e l’opportunità di farlo.

Per quanto riguarda i contenuti: le interviste che riescono, e che non si infrangono nella poca disponibilità degli interpellati, sono interessanti. Ma non sempre le domande di Ricca sono sufficientemente documentate, perché sta nella logica spettacolare del blitz portare più i rancori e i risentimenti di pancia che le argomentazioni. Le incursioni che partono già con intento dimostrativo, e finiscono in insulti o in quasi colluttazioni, non smascherano l’arroganza dei potenti, come pretende Ricca. Tra uno che sbrocca e uno che fa l’arrogante c’è una bella differenza. Se fai sbroccare un arrogante hai un indizio, ma l’arroganza vera la devi ancora dimostrare.

11 Luglio 2007

Delle cicale ci cale

Filed under: news factory — alessandro @

Mi chiedo quale sia il modello di lettore che ha in mente Lorenzo Del Boca, presidente dell’ordine dei giornalisti. Le risposte immediate, giuste e doverose, le ha già date Luca Conti su Pandemia. Tanto per aumentare un po’ il volume del frinire, già abbastanza alto, provo anch’io a trarre qualche conclusione dall’illuminata sintesi del presidente. Se nei blog vede solo cicaleccio, vuol dire che pensa anche che l’insieme dei lettori dei giornali non sia in grado di esprimere molto di più. Io rilancerei la palla così: che informazione fanno, i media tradizionali (verrà un bel momento in cui non avrà più senso fare questa distinzione), se poi quello che si trovano davanti rimane sempre un prato pieno di cicale? A chi parlano? Chi in-formano?
Se non riescono a vedere, per propria censura personale, i veri elementi di novità per l’universo dei media che i blog esprimono, provino Del Boca e soci ad applicare questo modello: le blogosfere potrebbero essere considerate come una rappresentazione statisticamente attendibile dei lettori dei giornali. Andando in giro per i blog potrebbero porsi il problema di scegliere un campione, prima di trarre conclusioni, perché i blog sono talmente tanti che se li prendi a caso puoi dimostrare tutto e il contrario di tutto. Se poi li prendi non a caso ma per dimostrare quello che già pensi allora è ancora più semplice. Io potrei prendere Cronaca Vera ed Eva Tremila e “dimostrare” l’attendibilità e lo spessore culturale di tutti i settimanali che esistono, per fare un esempio.
Potrebbero usare servizi come Blogbabel o Technorati per capire quali sono i blog che hanno più collegamenti in entrata. Tanto per sgrossare. Così, ipotizzando che vogliano capire qualcosa in più sul destino dell’informazione che amministrano, possono rendersi conto, a campione, del raccolto che possono ottenere dalla loro semina informativa. Non è un modello sufficiente a descrivere la realtà ma è già più onesto che far finta di non aver niente a che fare con le cicale, di non sapere chi sono e da dove vengono, di non essere cicale delle più tradizionali.

10 Luglio 2007

Quel che resta della notte

Filed under: reading — alessandro @

mario calabresi spingendo la notte più in làNon so quanti abbiano letto La verità di piombo di Leonardo Marino, pubblicato da Ares nel 1992 e riedito qualche anno dopo con un altro titolo più esplicito. Non credo moltissimi. Sicuramente meno di quelli che si dicono assolutamente certi della totale estraneità dei vertici di Lotta continua al delitto Calabresi. Su quali basi, ho sempre chiesto quando mi è capitato di parlarne, se la versione di Marino non la conoscono? Non ne conoscono, almeno, la puntualità e la coerenza, perché i giornali di tutti gli orientamenti l’hanno quasi sempre snobbata. Hanno dato conto di ogni passo, di ogni respiro del personaggio Sofri, e hanno cercato di ricacciare il suo antagonista nel girone dei cattivi senza diritto di parola.
Io l’ho letto quando è uscito, e quando la campagna denigratoria nei confronti di uno dei pochi veri pentiti dell’eversione anni 70 aveva ormai sortito i suoi effetti: una campagna insopportabilmente ideologica con in testa galantuomini come Dario Fo, evidentemente non contento del contributo dato, all’epoca, al linciaggio mediatico che fu la premessa del delitto Calabresi. Ho anche parlato con Marino a Bocca di Magra, quando collaboravo con una televisione locale, chiedendogli invano di rispondere a qualche domanda: era molto diffidente, visto che lo stavano attaccando tutti i giornali; in quel momento, in particolare, temeva che gli togliessero lo spazio in cui tuttora vende le crêpes per vivere.
Ho letto anche la Memoria di Sofri, e ho seguito con grande interesse, come molti italiani, le vicende processuali. Sono abbastanza convinto della fondatezza dell’accusa. Leggendo Marino risulta evidente almeno un elemento, che viene sempre passato sotto silenzio: il pentito ha dimostrato di essere attendibile perché si sono trovati i riscontri a quasi tutte le affermazioni riguardanti il suo ruolo nel movimento e l’esistenza del tanto discusso livello illegale. La difesa, per screditare Marino a tutto campo, ha negato non solo la sua versione sul delitto ma anche il resto. E lì si è giocata gran parte della sua credibilità.

Spingendo la notte più in là è invece la storia di Mario Calabresi, figlio del commissario ucciso, della sua famiglia e dell’ incontro con altri parenti di altre vittime del terrorismo. Una specie di cognizione del dolore che ha cominciato a prendere forma dopo i tardivi riconoscimenti dello Stato, le medaglie al valor civile concesse da Ciampi nel 2004 a Calabresi e ad altri. Non la cognizione privata del dolore, che è cominciata ben prima. Mario parte dalla cognizione condivisa con chi ha avuto una sorte simile alla sua e la offre come spunto per farla diventare collettiva, perché è convinto che sia un passaggio fondamentale per lasciarsi definitivamente alle spalle quel passato che ancora divide e ferisce, come avviene quando si legge su un muro una scritta calabresi assassino (graffito fresco, non d’epoca), e come è avvenuto ad altre famiglie e a tutti quando è toccato a Tarantelli, Ruffilli e poi a D’Antona cadere improvvisamente, senza che nessuno potesse prevederlo (discorso a parte per Biagi: in quell’occasione, come per Calabresi, le avvisaglie c’erano e si poteva fare qualcosa per evitarlo). Troppo sappiamo delle vicissitudini degli ex terroristi, sappiamo che sono diventati operatori sociali, scrittori e addirittura onorevoli. Sappiamo tutto del modo in cui hanno superato o sublimato la follia eversiva, sappiamo che in pochi si sono pentiti e che non sono poi tanti quelli ancora in carcere. Ora sarebbe il momento di sapere qualcosa di più di quelli che non possono uscire dalla condanna che hanno subito trent’anni fa a una vita senza marito, senza padre, senza figlio. E questo libro è un’ottima occasione per cominciare, perché è scritto con la serenità e la pacatezza di chi ha sofferto, elaborato la sofferenza e trovato una via d’uscita. Scritto senza sconti e con la chiara coscienza della violenza subita, ma senza ombra di rancore. Una bella testimonianza, nello stile della famiglia Calabresi che ha sempre chiesto giustizia senza alzare mai i toni, neanche di fronte a calunnie abnormi.

Mario è un giornalista, scrive e racconta da giornalista. Ma è diventato a modo suo giornalista molto presto, quando a quattordici anni saltava la scuola, racconta, per andare in biblioteca e passare in rassegna tutti i giornali dalla strage di piazza Fontana alla morte di suo padre. Non tutti i figli che erano appena nati o molto piccoli quando i loro padri morivano per il piombo di destra o di sinistra hanno avuto la stessa lucida e precoce voglia di capire. Mario incontra la figlia di Antonio Custra, il giovane poliziotto morto a Milano durante gli scontri in via De Amicis del 1977 (era il giorno della famosa foto simbolo del ragazzo con la P38): lei lo spiazza chiedendo a lui come erano andate le cose, e che ne era dell’assassino di suo padre. Fino a oltre vent’anni dopo sarebbe stato troppo doloroso, per lei ma soprattutto per sua madre, cercare e chiedere per conoscere, per capire.

Di assoluto interesse il racconto del colloquio con Gerardo D’Ambrosio. In poche parole l’ex magistrato spiega come arrivò a scartare le ipotesi di omicidio e di suicidio per la morte di Pinelli: lo fa in maniera convincente e si capisce che il buon senso è stato esiliato dalla mente di tanti per troppo tempo, se ancora c’è chi ritiene Calabresi responsabile. D’Ambrosio è lo stesso magistrato, occorre notare, che smontò la pista anarchica per la strage di piazza Fontana.

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