Uno degli ultimi referrer chiede “il gatto che canta per i telefonini”. Oddio.
I bambini di inizio novecento leggevano le strisce dei Katzenjammer kids, conosciuti anche in Italia come Bibì e Bibò. Ma quel nome era solo un nome buffo: ora i katzenjammer kids, i bambini del lamento di gatto e non i figli del signor katzenjammer, esistono davvero. Giusto qualche giorno fa ho visto su Canale 5 la pubblicità del gatto che canticchia insopportabilmente quando arriva un messaggio o una chiamata (se ho capito bene) e ho osservato perplesso il feedback positivo generato su un tredicenne che casualmente era davanti alla televisione con me.
I preadolescenti danno molto valore ai cellulari: fanno passare una buona quota del loro desiderio di socializzazione e di riconoscimento “tribale” attraverso il telefonino e i gadget annessi. Non è strano. Ma quella pubblicità è mortifera. Quel gatto lamentoso è orribile. E io sono sicuro che anche a tredici anni avrei odiato profondamente una roba del genere.
Non che non abbia subìto la pressione di alcune mode, all’epoca. Se devo pensare a una pubblicità di target under 14 particolarmente aggressiva che ha avuto presa su di me, mi viene in mente solo il lancio delle big babol, lo spot martellante con Daniela Goggi e, lato consumer, il sabba ciancicatorio che si scatenava all’apparizione di un pacchetto (che di chiunque fosse non durava più di due minuti) tra amici o compagni di scuola, l’odore dolciastro che si diffondeva in ambienti piccoli. Non mi piacevano: sono rimasto affezionato per anni alle brooklyn spearmint (le bianche, non le verdi) e alla corsa tosta e leggiadra di Carla Gravina sul ponte. Ma ne consumavo ugualmente a tonnellate. Il punto è che le big babol mantenevano le promesse della pubblicità: performance impressionanti con le bolle, mai viste fino ad allora. Giocavamo con le bolle, ci ridevamo su, facevamo dispetti a base di gomma e impiastricciavamo qualsiasi superficie; i vestiti, come si può immaginare, non rimanevano sempre indenni. Era una mania idiota, come mia madre non mancava di farmi notare. Però una gomma è un conto, un gadget di un oggetto tecnologico un altro. La gomma si usa e si butta, la domini; il cellulare ti segue ovunque e a quell’età ti rappresenta di fronte agli amici, è un modo per guadagnarsi stima e attenzione senza passare dal “via” del mettersi davvero in rapporto con gli altri. Ha i difetti del gioco idiota, e molti altri.
Ma perché trovo repellente il “gatto che canta per i telefonini” e i ragazzi lo trovano irresistibile? Mia madre una big babol ogni tanto se la masticava insieme a me. Quel gatto insopportabile mi mette solo angoscia. E vorrei che i ragazzi fossero altrettanto angosciati, che ci fosse un punto su cui far leva per condividere con loro quel senso di troppo che mi invade di fronte a una prostituzione pubblicitaria così evidente. I miei genitori quel senso di troppo che stroppia riuscivano a comunicarmelo bene. Se ora non succede facilmente, come temo, non è perché mio padre e mia madre hanno chissà quali stoffe di educatori. Il punto è che l’ambiente sociale e mediatico è saturo di stimoli e messaggi atti a mandare un preadolescente in tilt.
A pensarci, l’angoscia che provo è data da questo: esiste un limite? Non parlo di limite morale, parlo di limite fisico; e penso all’ambiente, non ai ragazzi. Esiste un punto oltre il quale l’ambiente non riesce più a reggere il sovraccarico di stimoli?
E se esiste, cosa succede dopo?