Cronachesorprese

11 Febbraio 2007

Ahi, non la guardo su Sky…

Filed under: cronache — alessandro @

Oggi la notizia è la ripresa del campionato di calcio. Da abbonato ero curioso di vedere come la gente si sarebbe riaffacciata agli spalti, dopo tutto quello che è successo. Che sembra non essere mai nuovo e mai abbastanza, visto che si ripete periodicamente.

Genova è uno degli stadi di serie A in cui si può giocare a porte aperte fin da oggi. Ben poco, fuori dallo stadio, fa pensare che qualcosa sia cambiato. Io arrivo all’ultimo da fuori città (e indeciso fino all’ultimo se andare, poiché non faccio condizionare più di tanto il mio week end dall’essere sostenitore di una squadra a cui comunque tengo moltissimo), con un treno che mi scodella a Brignole una manciata di minuti prima dell’inizio della partita. Le uniche due differenze che noto sono le biglietterie chiuse (coperte da un gigantesco striscione: “porte chiuse… potrebbe toccare a noi”) e un precontrollo presidiato dalla polizia, non molta, a pochi metri dagli ingressi ai vari settori. Passa il filtro solo chi è munito di biglietto o di abbonamento. Ciò non impedisce che ai tornelli si verifichi una scena poco edificante: un ragazzo viene cacciato fuori dai cancelli (ma come ha fatto a entrare?) a male parole dal servizio d’ordine. Non riesco a capire il motivo. Il soggetto non la prende bene e, uscendo, farfuglia qualcosa del tipo “ti taglio, ti apro come…”. Insomma niente di bello. Strano, molto strano. Non succede mai.

Il fatto è che le due tifoserie di Genova, tra le più tranquille d’Italia nonostante dimostrino entrambe grande attaccamento e fedeltà alle squadre, vivono i giri di vite come punizioni sommarie che subiscono come un contadino potrebbe subire una grandinata. Noi ci comportiamo bene e, per l’idiozia di pochi che magari stanno a migliaia di chilometri, ogni volta che succede qualcosa vediamo sempre più ristretta la nostra libertà personale. Questo è il sentimento che prova oggi il sostenitore medio della Sampdoria.
Non condivido del tutto questo modo di vedere. Le domeniche del Ferraris sono in genere più tranquille che in altri stadi, d’accordo; ma non si può neanche dire che qui non sia mai successo nulla. D’altra parte non so dare torto al volantino degli Ultras Tito, il giro di vite non serve: succederà che il livello di attenzione delle forze dell’ordine sarà un po’ più alto per qualche settimana, poi tornerà tutto come prima, fino al prossimo tragico evento. Ma anche oggi non è che i poliziotti si dannino: sono solo un poco di più del solito e fanno pochissime perquisizioni.

Ultras Tito e Fedelissimi hanno deciso di fare lo sciopero del tifo per tutto il primo tempo. Così si gioca con il pubblico in silenzio e seduto, e accidenti se la differenza si vede, anche in campo. Immagino con quale agonismo si stiano giocando le partite negli stadi a porte chiuse… Lo striscione a metà gradinata dice: “I morti vanno tutti rispettati, anche quelli che vi siete dimenticati”. E altri striscioni più piccoli ricordano date e luoghi di altri incidenti degli ultimi dieci anni in cui ad avere la peggio sono stati dei tifosi e non dei poliziotti. Nel secondo tempo, quando si riprenderà a tifare (e la Sampdoria segnerà i due gol che decideranno la partita, guarda caso) la scritta cambia: “Rimedio al modo inglese? No, al modo Sampdoria”. Un’orgogliosa rivendicazione di civiltà e autodisciplina che nessuno può venire a insegnare qui. Però davvero, non è del tutto condivisibile. Sì, nessuno può insegnarla perché nessuno è senza peccato. Ma anche qui angeli non ce ne sono.

Lo si vede, in piccolo, anche nel primo tempo. La sorte beffarda vuole che il giorno in cui il tema è “volemose bbene everibadi end everiuere, anche negli stadi”, sotto la gradinata sud si materializzi un antico fantasma, quello di Gianluca Pagliuca che difende la porta dell’Ascoli. Anche oggi, come sempre nel recente passato, il portierone non risparmia polemiche plateali e si toglie la soddisfazione di un altro dispettuccio, un rigore parato a Flachi. E la gente, nonostante lo sciopero, non si trattiene. Nessun lancio, ma le paroline gentili volano che è un piacere.

Morali non ne ho e non ne voglio fare. Sono contento che il calcio non si sia fermato più di una settimana: sospendere il campionato a tempo indeterminato sarebbe stato inutile, anzi dannoso (che piaccia o no, il calcio è un’industria come un’altra). Non sono contento invece di sentir blaterare di morti “stupide”. Come se quelle in Iraq, per dire, fossero morti intelligenti.
Non è il calcio a mettere in mano una spranga a un ragazzo di 17 anni. E non basterà un decreto antiviolenza a disarmarlo. Ci vuol altro. Io, che ho visto centinaia di partite nella mia vita e non ho mai provato l’impulso di menare le mani, non sono un marziano. Però lo so, mi è capitato di vederli quelli che lo provano, questo impulso. Io adoro la gradinata sud del Ferraris, perché è un luogo in cui capita che uno “tranquillo” come me e un altro potenzialmente “violento” si guardino in faccia, commentino insieme le fasi di gioco come se si conoscessero da sempre, cantino insieme, si emozionino per le stesse cose. Non è poco. Non lo è stato, per molti ragazzi di cui i giornali non hanno motivo di parlare, perché non causano incidenti anche se la loro vita non è semplice e a vederli sembrano delle pentole a pressione. Vengono in gradinata sud, e cantano insieme a me. Chi pensa che sia poco, non capisce nulla. Non solo di calcio.

vedi il set di foto su flickr

10 Febbraio 2007

Quoting movie memories

Filed under: lo spettatore indigente — alessandro @

Provo a lanciare una catena, o meme, o chiamatela un po’ come volete. Non so se già esiste, nel caso non fa niente, la rilancio.

Il gioco è trovare tre (o più) citazioni da film che vi hanno colpito particolarmente. Ma non quelle più famose: o almeno non quelle proprio conosciute da tutti. Sono sicuro che le frasi e le scene che rimangono impresse anche a distanza di tempo variano molto da persona a persona, e penso che, oltre a raccontare qualcosa di particolare (quella esperienza da spettatore irripetibile, come è irripetibile la storia di ognuno) potrebbero essere degli spunti validi per rivedere vecchi film. Ad esempio, di Via col vento non citerei certo il famosissimo “domani è un altro giorno” di Rossella O’Hara, ma Rhett Butler che dice “voi non valete trecento dollari”: è una delle battute che ricordo più volentieri e rappresenta bene, a mio parere, la parte più interessante del film, il rapporto tra i due protagonisti.

Altra cosa che suggerisco soltanto, che non metto come regola perché dipende dall’accuratezza con cui si vuole partecipare al gioco, è: non googlare per trovare la citazione esatta. Magari per scorrere liste e trame di film sì, per aiutare la memoria ad agganciarsi al giusto particolare, ma niente di più. Non ha importanza riportarla proprio precisa precisa (forse nessuna di quelle scelte da me è precisa), anzi può essere interessante vedere le piccole variazioni, le aggiunte o le sottrazioni che fa la memoria. Anche per questo è importante non stare a pensarci tanto su. Io queste le ho pensate in venti minuti, mentre tornavo a casa ieri sera abbastanza su di giri e un po’ brillo. Le ho scelte tra altre che mi sono venute in mente, in tutto otto. Non prendetela come una lista definitiva ed eccellente: ho voluto proporre quasi uguale questo brainstorming cinematografico, per fissare un momento particolare, innescato da una conversazione interessante e da una buona compagnia. Può darsi che tra qualche tempo, se il gioco mi darà lo spunto per ricordare altre citazioni, proponga un’altra lista.

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“Tu hai più occhi di chiunque altro…”
Provaci ancora Sam

“Il futuro è stasera, e io devo comprarmi una camicia, una belliiissima camicia…”
La febbre del sabato sera

“Non ridiamo di te, ridiamo con te”
L’attimo fuggente

“Io non so se ognuno di noi ha un destino o se fluttuiamo soltanto accidentalmente come foglie nel vento, ma io penso… tutte e due le cose insieme.”
Forrest Gump

“- Salve, io sono una lacché dell’imperialismo razzista
– E io sono una sporca comunista negra
– Bene, mi pare che ci siano le basi per una solida amicizia”
Quinto potere

“Ecco, le tavole con i quindici… Dieci! Dieci comandamenti!”
La pazza storia del mondo

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A voi, Alga, Estrellita, Tambu, Lao ed El Mariachi. Fate le vostre liste e “incatenate” tutti i blogger che volete. In più, as usual, chiamo i non blogger Ludi e Searcher: li invito a proporre le loro liste e a diffondere la loro immensa esperienza cinematografica nei commenti.

9 Febbraio 2007

Dico che…

Filed under: chiedici le parole — alessandro @

… se volevano solo differenziarsi dai francesi, brutteur per brutteur, potevano anche chiamarli didoco, che era più preciso (diritti e doveri dei conviventi). È pur vero che in questo modo lo spazio per giochi di parole, titoli di giornale a effetto e perculamenti politici è praticamente infinito. Grazie Robi (Rosi Bindi, pare che l’ideona sia sua).

8 Febbraio 2007

La memoria del muro

Filed under: cronache — alessandro @

muro di berlinoLa breccia, il big bang da cui ha avuto inizio la nuova Berlino, entro quest’anno sarà maggiorenne. Tuttavia… A diciott’anni dal crollo, il rapporto dei berlinesi con il muro rimane complesso. Deplorandolo, lo ricordano; ricordandolo, lo celebrano. Proclamando dove e come possono, in ogni angolo e in ogni occasione, il loro slancio verso lo sviluppo e il nuovo disegno della città, segnano al tempo stesso con ambivalente orgoglio la particolarità, l’unicità della loro storia.

berliner mauer 1961 1989Una pista ciclabile ripercorre per buona parte il tracciato della divisione tra est e ovest. L’ampia distanza, non ancora colmata, tra la Eberstrasse e gli edifici più vicini in direzione est fa intuire che la fascia di rispetto era ragguardevole e andava ben oltre lo spazio compreso tra i due muri. Già, perché i muri erano due. E in mezzo il limbo; o, occasionalmente, l’inferno. La Potsdamerplatz è solcata da una fessura sulla pavimentazione; una targa nel selciato, che ti trovi tra i piedi all’improvviso mentre guardi i grattacieli con il naso all’insù, ti ricorda che stai calpestando l’antica terra di nessuno. E ti immagini con un brivido lo sguardo delle sentinelle, i graffi del filo spinato. Vent’anni fa un berlinese dell’est non poteva permettersi di essere qui. In questo punto preciso. La targa, a dire il vero, ha più l’apparenza di una lapide: con data di nascita e data di morte. Come per una persona. Come una cara memoria da custodire. Appunto, ambivalenza.

trabantIl turista alla ricerca delle vestigia del muro potrebbe sentirsi sballottato tra due rappresentazioni opposte. Una è quella più teatrale inscenata al Checkpoint Charlie, in Kochstrasse. Siamo in piena guerra fredda: la torretta, il famoso cartello you are leaving the american sector, riprodotto in tanti e onnipresenti gadget, la gigantografia del soldato della RDT (uniforme simile a quella del simpatico omino che, pochi metri più avanti, ti chiede qualcosa per fare una fotografia con lui e una coloratissima trabant), i pannelli che ricostruiscono i momenti salienti della storia del muro. E un museo, privato e troppo caro che chissà quali altre voyeuristiche curiosità può soddisfare: non mi interessa. È presto per chiudere il muro in un museo, e noi non siamo qui ad ammirare cimeli. Vogliamo solo capire.
L’altra rappresentazione è quella sul lungofiume, che comincia poco dopo un antico ponte sulla Sprea con le volte a crociera in mattoni rossi, dove si trovano i resti più cospicui di muro e i graffiti più belli, anche se non si capisce quali siano ante 1989: pochissimi, probabilmente. Questo è il punto di maggiore distanza delle due città. Le due rive del fiume, viste dal ponte, sembrano davvero distanti quanto due continenti. muro di berlino Sì, ci sono i segni della veloce colonizzazione degli ultimi diciotto anni: bandierine piantate da qualche grande industria, come, più avanti, il grosso cubo della Basf all’inizio di Friedrickshaine. Ma appunto, le bandierine non colmano uno spazio, lo rimarcano soltanto. Per ora. Una sensazione un po’ più istruttiva di quella che può dare qualsiasi cimelio.

2 – continua

7 Febbraio 2007

À la chronique comme à la guerre

Filed under: news factory — alessandro @

antonio di pietro su youtube
L’esperimento di comunicazione del ministro – blogger Antonio Di Pietro, considerato in tutti i suoi elementi nonché nelle reazioni suscitate (gli uni e le altre messi bene in fila in alcuni degli ultimi post di Antonio Sofi), porta con sé il giusto grado di provocazione ed è un buono spunto per considerare il rapporto tra giornalismo e comunicazione politica. A me non interessa se, come dice Mantellini, Di Pietro ha sbagliato dal punto di vista istituzionale: spetterà a Prodi, eventualmente, obiettare qualcosa e dare delle regole ai suoi ministri.

Che la politica faccia di tutto per uscire sui media secondo i propri desiderata è logico e normale. A volte lo fa in maniera accettabile, altre volte in maniera arrogante. Se però il politico decide di saltare la mediazione giornalistica può veramente dire ciò che vuole: dovrà rendere conto al massimo ad alleati e colleghi di partito.
La reazione di Simonetta Guidotti, giornalista di Rainews 24, è davvero sconfortante: “«Ma signor ministro… – avrebbe detto – Lei capisce che se invece di fare le conferenze stampa e dare interviste ai giornalisti tutti si mettono su Internet il nostro lavoro è praticamente finito…».

Io, al contrario, pensavo che la conferenza stampa fosse uno dei tanti modi per incominciarlo, il lavoro di un giornalista. Se i giornalisti accreditati per tallonare i pezzi grossi della politica si sentono i sacerdoti di quel tipo di informazione, e soprattutto pensano che il loro compito si esaurisca lì, forse c’è qualcosa che non va. Di Pietro che racconta con parole sue cosa è accaduto in un consiglio dei ministri è una fonte come un’altra. In conferenza stampa magari direbbe cose diverse. Che lui decida di comunicare così è interessante, e non toglie proprio niente al lavoro del giornalista, anzi aggiunge elementi in più da vagliare. Veramente stupido, poi, presumere che il cittadino che arriva a sorbirsi il resoconto di Tonino su youtube non vada subito a vedere cosa ne dicono i giornali. Stupido insomma pensare che un esperimento così annichilisca la mediazione giornalistica.

Ancora una volta si manifesta questa specie di sindrome da accerchiamento che soffrono molti giornalisti quando considerano la proliferazione di voci, di mezzi, di professionalità nuove. Oggi sono i blogger, domani è il citizen journalism, dopodomani gli aggregatori di news, ogni giorno una nuova minaccia. Eppure il giornalista dovrebbe, in un certo senso, godere di tutto questo. Sapere che il suo punto di osservazione (non il suo sguardo) è sempre mobile, non è mai lo stesso. Cambia ogni giorno, ed è buono e giusto che sia così.

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