Bene, qualcuno sta tirando fuori le palle. Qualcuno fa chiaramente riferimento a cose che ho scritto ma non si degna di venire a discutere qui. Forse per paura di contaminarsi con un pezzente come me. E va bene, allora farò il bravo paria e me ne starò nella mia baracca elettronica che non può ambire a diventare un castello di carta. Certo che, parlando tanto di economia del dono, si potrebbe anche provare a esercitare l’incredibile munificenza di regalare un link.
Chiedo scusa per le allusioni che non tutti capiranno. Parto da un’offesa enorme ricevuta e non ancora elaborata del tutto. D’altra parte non sono la moglie di Berlusconi e non me ne frega niente delle scuse pubbliche. Bastano il tempo, e le conversazioni. In questa strana convalescenza mi accontento di piccoli segnali di discussione: fortunatamente so godere delle piccole cose, e mi anima una grande passione. Se così non fosse, non avrei perseverato per quattordici anni a cercare di definire un’identità da giornalista che nessuno mi può togliere, perché è nella mia storia e perché ormai riguarda un buon 90 per cento della mia attività professionale. Sono abituato a sbattere nelle difficoltà e a rimbalzare sui palloni gonfiati.
Ma veniamo agli argomenti.
Si dice che i contenuti di valore sono l’unico modo per tenere un giornale in buona salute. Già. Quindi bisogna ripensare i giornali, in modo da dare maggior spazio a contenuti di valore, e far emergere maggiormente i tanti che già ci sono. Non mi sembra di aver mai detto niente di diverso. Ma il problema esiste. Altrimenti i lettori online più attivi e intraprendenti, o wreader per usare un termine che fa fico, non si sarebbero dati tanta pena ad andare online a caccia di quel valore e di quelle informazioni che evidentemente non trovavano nell’editoria tradizionale. Non trovavano perché non erano capaci? Perché snobbavano i giornali? Perché erano abbacinati dalle sirene elettroniche? Comunque sia, non trovavano. E naturalmente da bravi wreader tutti votati alla ricerca del graal della qualità, wrrrrr! possono tornare indietro anche in un istante. Ma non sarà forse il caso (invece che prepararsi ad ammazzare il vitello per il figliol prodigo e fare bisboccia nell’avita casetta) di cercare di assecondare un po’ i percorsi che questo povero wroutard ha fatto e sta facendo, anche sulla strada del ritorno? Ad esempio buttarsi pancia a terra sull’integrazione dei canali, trattare l’informazione secondo diversi gradi di approfondimento esaltando la specificità di ogni canale. Multimedia, podcasting, blog, webduezzero possono essere trattati o dal punto di vista del marketing (facciamo vedere che siamo moderni e aggiornati) oppure possono diventare a pieno titolo strumenti per seguire il ciclo della notizia. Ma davvero, non per modo di dire. I lettori hanno familiarità con i grandi giornali e i giornalisti. Ma finora sono stati abituati ad associare internet ai pedofili, ai video dei bulli diffusi su youtube, o al massimo alle grandi manovre finanziarie che volano molto alto. Poi ci sono i giornalisti che parlano solo di internet e si capiscono solo tra di loro. Sono specialisti che parlano a specialisti. Usiamo pure una parola che è stata molto in voga negli ultimi mesi sui blog: sono autoreferenziali. Ci sarebbe bisogno, invece, di giornali e giornalisti che non comunicano la loro paura e diffidenza (o la loro sublime e inarrivabile competenza) ma usano i nuovi strumenti e li propongono per i loro soliti contenuti: e a farlo dovrebbero essere non due o tre geek cooptati nelle redazioni ai quali si molla volentieri l’appalto delle nuove diavolerie, ma gli stessi che la gente legge ogni giorno, i più familiari, quelli il cui stile e le cui idee sono conosciuti da tutti.
Si dice che non è vero che i giornali sono in crisi, e anzi. Beh, ma leggo la buona Carola ospitata sul blog di Carlini che riporta i dati della World Association of Newspapers: si parla, è vero, di una notevole crescita dei media su carta in tutto il mondo (il 10% tra il 2001 e il 2005), ma dovuta a cosa principalmente? Guarda guarda, alla free press: la scarlattina del giornalista adulto (cit.) negli Stati Uniti (ma il trend in Europa è simile) ha aumentato il contagio del 127,9 %, mentre i quotidiani a pagamento hanno avuto una flessione del 4%. Facile dunque che anche il notevole incremento degli introiti pubblicitari sia dovuto in buona parte alla stessa pandemia. Si salvi chi può.
Si dice che nei giornali i giornalisti non contano nulla, e che se la qualità scade e il lettore popolare non vede più la differenza tra la free press e il quotidiano che gli costa un eurozzo tondo tondo, la colpa è tutta degli editori. Condivido, in parte. E ci metto anche le tante aziende che, pur non essendo imprese editoriali, si sono trovate negli ultimi anni a produrre contenuti per il web senza quasi accorgersene, e a cercare professionalià adeguate alla bisogna, inquadrandole naturalmente in contratti e mansioni che tacciono la realtà dei fatti. Ora che è evidente, queste aziende continuano a far finta di non accorgersene e chiamano metalmeccanici i loro produttori di contenuti, e li pagano meno di un metalmeccanico. E i tecnici che hanno la disgrazia di essere addetti al web, anche quando hanno profili professionali più facilmente riconducibili a un core business da azienda metalmeccanica, non se la passano molto meglio: sono bestie strane anche loro. Come se il web fosse qualcosa di cui si può fare a meno in qualsiasi momento. Cari colleghi giornalisti, conoscete queste realtà? Avete mai provato a raccontarle? O avete contribuito, a causa delle vostre paure e della vostra supponenza, a perpetuare la loro marginalità? Eppure producono contenuti di qualità, anche loro. Ma per voi sono come i service, dei pericoli ambulanti, meglio lasciarli nel loro limbo. Snobbarli. Sottolinearne una presunta scarsa professionalità, tutte le volte che ne avete l’occasione. E allora scusate tanto se anche loro, quando leggono un giornale che fa schifo, sono portati a pensare che la colpa sia dei giornalisti.