Mitte. Il centro. Non il fulcro, ma il sigillo che dava stabilità al centro poteva essere la mole orizzontale della Brandenburg Tur con l’antistante Parisier Platz; su cui si inseriva la spina dorsale di Unter den Linden, che oggi sembra non abbia cuore di sfrattare i fantasmi delle migliaia di carrozze che l’hanno attraversata nei secoli.
La regola del Mitte era questa, un tempo. Sicuro. Doveva rappresentare la testa sul collo di una città saldamente ancorata a una piana monotona e di semplicissima edificabilità, a pochi metri dall’ansa più rotonda della Sprea.
Quella legge gravitazionale cominciò a vacillare il 27 febbraio del 1933, con l’incendio del Reichstag. Ma sembrò ristabilirsi e subire una semplice ridefinizione, illuminata dalla volontà di potenza hitleriana e dalle visioni razionalistiche di Albert Speer, che grazie a Dio non ebbero il tempo di prendere carne nella pietra di Berlino.
Ondeggiò più pericolosamente durante i bombardamenti; ma alla fine, o meglio all’istante zero dell’anno zero, le crocerossine allinearono i loro feriti proprio davanti alla porta di Brandeburgo. Sembrava logico ricominciare da lì, e in una città in completa rovina lo spazio, spazio originario, lì era rimasto.
Patì un disassamento decisivo con la costruzione del muro: un gesso anomalo che produceva e conservava una frattura, invece di avvolgerla per ricomporla. Ost Berlin e la DDR intera andavano a cercare un nuovo punto di equilibrio più avanti, chiedendolo in fasi successive ad Alexanderplatz, o alla magnificenza fintamente sobria del Palast der Republik.
Non si trovò. La tensione crescente, la risultante delle forze in gioco indicava sempre la stessa direzione: West Berlin. Oltre il muro. Il gesso doveva rompersi, ma per il resto, di come ricomporre la frattura, nessuno sapeva nulla.
E nessuno ha preteso di ricomporla artificiosamente. Berlino ha perso il suo antico orientamento, il suo consolidato concetto di Mitte, e non ne ha trovato uno alternativo, anche se esistono un nuovo Bezirk e una stazione della metropolitana che si chiamano così; e la cosa bella, la novità, la sorpresa è che questa città tranquilla e vivibile non dà l’aria di affannarsi a trovarlo.
Questo fatto nuovo, meglio della quotidianità di una città viva e dinamica che sa neutralizzare il caos cittadino come poche altre metropoli, lo racconta lo skyline (se così si può chiamare) della Potsdamer Platz. Forse è qui il nuovo Mitte? No, dice. Qui c’è il racconto, la testimonianza della frattura. E della breccia che ha ridato vita ed energia alla città.
Potsdamer Platz è la scommessa architettonica che deve fare i conti con il passato recente, risignificarlo e dare alla città il canone, la norma del progredire. Dinamismo. L’immagine di un solido work in progress. Se la Brandenburg Tur è un sigillo orizzontale, la Potsdamer Platz è un vettore verticale. Le grandi moli dei tre grattacieli in alto si rastremano, si appuntiscono per dare l’impressione del non finito. Si guardano. O meglio definiscono lo spazio in mezzo a loro. Che è una strada. Che è la breccia. La breccia nel muro.
1 – continua