Cronachesorprese

28 Febbraio 2005

In ricordo di un incontro abbastanza francescano in Firenze…

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Mario Luzi…con queste parole, in un bel giorno di maggio di dodici anni fa, fosti "bene augurante" per me. Vorrei ricambiare oggi il respiro che mi hai dato in quella occasione, ma sono certo che nulla ti sia mancato nel momento del tuo ultimo, e nulla ora ti manca più. Ciao Mario.

 

 

20 Febbraio 2005

Lontano, lontano, oltre Milano…

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Poveri musicisti, pronti allo scatto come cavalli di razza sulla chorus line dello Smeraldo, in attesa dell’inevitabile trottata. Il loro aguzzino in salsa astigiana entra veloce come un pesce del baltico, accenna un inchino al pubblico e si avventa sul pianoforte con aria famelica.

Comincia a traslare morbidamente l’intero teatro ‘n coppa al mistero afghano della donna d’inverno, e in breve la sala avverte lo stordimento di un vecchio sparring partner. Ormai siamo una corba di pesci da friggere. In capo a due brani è già il pieno della Comédie Contienne. Come di. Come di un verso in rima sdrucciola / che nello stomaco ti gocciola / come di / come un "between the sheets" ;-)
Da da da ddam, da da da ddam… si parte.

Canzoni vecchie e nuove si fondono in un continuo che racconta di un percorso artistico convincente come pochi altri in Italia. Se l’interpretazione di Bartali era sicuramente più trascinante una ventina d’anni fa (ma oggi, dal vivo, si arricchisce del pregio della rarità), che dire di questa verde milonga che con il passare del tempo rivela di sé molto, molto più di quanto apparisse quando cominciò a danzare tra le dita del maestro? E questa Lontano nuova di zecca non si integra perfettamente con tutto quello che è venuto prima? L’avvocato avverte forse l’esigenza di chiosare un po’, di tirare qualche somma. Ma è naturale dopo oltre quaranta anni di carriera, non mi suona come una caduta, anzi. Chi un tempo si rivolgeva dal loggione alla Musica, eleggendola a complice del sogno di un’avventura con una donna irraggiungibile, oggi chiama la stessa vecchia amica a testimone di una riflessione di altro tenore: là voglio arrendermi in braccio alla musica / che chiude il discorso delle affinità

Sarà perché, dopo averlo ascoltato per tanto tempo, a un certo punto l’ammirazione diventa affetto. Ma quest’uomo, senza dire una parola di più oltre a quelle delle sue canzoni (neanche venerdì sera, come quasi sempre: non una parola, in due ore e passa di concerto), è riuscito a creare un immaginario e un linguaggio che hanno dato prova di essere validi e vitali per due generazioni e che, attraversando asperità ed ermetismi del tutto apparenti, hanno invece un’immediatezza tutta loro. A volte difficile da spiegare, ma indiscutibile. E poiché ormai siamo sulla soglia della leggenda, penso che sia una fortuna vederlo inarcarsi sul pianoforte con scatti obliqui che sembrano la perfetta restituzione elastica della sua spinta sui tasti, o vederlo divertirsi come un bambino al vibrafono senza mai perdere misura e classe.

Beati musicisti, che si stanno godendo dall’interno del golfo più mistico che c’è il Paolo Conte di questi anni, fortunati loro che lo stanno accompagnando come ciclisti gregari in fuga in questa corsa verso la leggenda. Ognuno di loro potrebbe fare spettacolo da solo, e magari a questo pensano mentre si divertono e si estenuano. Ma il maestro è nell’anima e non possono negarlo: la loro musica parla per loro. Sì, il Paolo Conte di oggi sarà indimenticabile, forse ancora più di quello delle grandi tournée che l’hanno reso celebre in Europa.

Non m’importa di rischiare toni di eccessiva celebrazione, quest’uomo si merita di più, di più, di più, di più, di più. Anche un pellegrinaggio involontario, sulla strada del ritorno, al casello di Asti. Quando guardi in faccia una leggenda poi può anche capitare di sbagliare strada, ma quella che prenderai non potrà essere una strada qualsiasi.

Milano, teatro Smeraldo, 18 febbraio 2005

15 Febbraio 2005

Snob o timorosi?

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 "Ci sono anche libri di ottima scrittura che non raccontano storie avvincenti.
Qualche volta leggi per il gusto della storia, Bobby. Non fare come quegli snob che si attaccano alla forma.
Qualche volta leggi per il gusto delle parole, il linguaggio. Non fare come quei timorosi che hanno paura di non capire.
Ma quando trovi un libro che ha una bella storia e un bel linguaggio, tienilo a cuore."

Stephen king, Cuori in Atlantide

14 Febbraio 2005

Dopo un weekend on the road

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Adesivo, trasferelli, vetrofania, non lo so ancora. Ma è certo che prossimamente sul lunotto posteriore della mia macchina ci sarà scritto:

"Le dimensioni del pene di un automobilista sono direttamente proporzionali alla distanza di sicurezza media tenuta in autostrada."

11 Febbraio 2005

L’equivoco: il ruolo della scienza

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Io non ho nessuna intenzione di aspettare che la scienza mi faccia chissà quali rivelazioni su non so quali aspetti della vita embrionale per decidere che all’embrione debba essere riconosciuta la dignità di essere umano. Posso non sapere nulla, e ben poco so, delle sottili differenze tra zigote e morula, tra ovocita attivato e singamia: la questione vera si pone oggi esattamente come poteva porsi tre o quattromila anni fa. Il formarsi della vita umana dovrebbe essere qualcosa di tendenzialmente intangibile, e credo che possa essere un principio condiviso da tutti, un principio di pura civiltà, che non ha niente a che vedere con fedi e convinzioni personali. Perché altrimenti la convivenza umana su cosa la fondiamo? Sul codice della strada?

Si può discutere sulle eccezioni (come del resto accetto la plausibilità dell’aborto come eccezione) ma non si può considerare l’embrione umano alla stessa stregua di qualsiasi altro materiale biologico.
Alla scienza chiedo di chiarire il come avviene lo sviluppo dell’uomo dall’embrione al feto all’individuo adulto. Ma che embrione, feto e adulto siano la stessa persona, non vedo che titolarità abbia la scienza a metterlo in discussione. E non vedo neanche come possa essere discusso in termini etici o teologici: è un fatto, che viene prima di osservazioni scientifiche e di convinzioni etiche o religiose. Un fatto sul quale non bisognerebbe accettare di essere imbrogliati. Non un mito, come qualcuno si ostina a sostenere, contro ogni evidenza. Che mi importa se l’embrione deve ancora differenziarsi, o se non è ancora senziente? Diventa forse un caimano, una volta impiantato nell’utero? O continua ad essere quello che già è, un uomo, oppure non diventa nulla. Che mi importa se "uno su mille ce la fa"? Spiegatemi in cosa queste osservazioni ne sminuiscono la dignità di essere umano.
Siamo stati embrioni, sì o no? Potremmo essere quello che siamo se non fossimo passati attraverso questo stadio del nostro sviluppo? Punto.

Ma questa premessa necessaria non è fatta per chiudere la questione e censurare l’iniziativa referendaria, anzi: è a partire da questo riconoscimento che la questione si apre davvero, e nei termini giusti, negli unici termini a mio parere accettabili.

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